I piccoli pazienti, affetti da distrofia retinica ereditaria, sono stati trattati al policlinico Vanvitelli di Napoli. Un successo che conferma l’eccellenza italiana nel campo delle terapie avanzate
Nessuno che non abbia mai sperimentato la condizione di cecità può davvero comprendere la sensazione di euforia che si prova nell’uscire dall’oscurità e tornare a vedere. Ecco perché la notizia di risultati efficaci e durevoli su dieci bambini trattati con la terapia genica voretigene neparvovec - meglio nota come Luxturna - ha sollevato un’ondata di emozione. Affetti da una rara forma di distrofia retinica ereditaria causata da una mutazioni a danno di entrambe le copie del gene RPE65 i piccoli pazienti avevano problemi di scarsa visione (soprattutto in condizioni di bassa luminosità) e forti limitazioni del campo visivo. E all’emozione si aggiunge l’orgoglio italiano: la Clinica Oculistica dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli è il primo Centro in Europa per numero di pazienti pediatrici trattati con questa terapia genica.
UNA TERAPIA GENICA PER RECUPERARE LA VISTA
“I dieci pazienti trattati oggi possono scrivere, leggere (passando di fatto, in alcuni casi, dal braille alla carta e alla penna) e muoversi in autonomia. I risultati che abbiamo ottenuto hanno, quindi, un profondo valore scientifico e clinico oltre a testimoniare che, in una patologia degenerativa, la via del trattamento precoce è quella vincente”, ha dichiarato Francesca Simonelli, Professore Ordinario di Oftalmologia e Direttrice della Clinica Oculistica dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. “Nel 2019, inoltre, autorizzati da AIFA abbiamo trattato i primi due bambini in Italia, e oggi dopo quasi 2 anni dalla terapia possiamo confermare un’assoluta stabilità dei risultati ottenuti e un buon profilo di sicurezza. Dati che ci rendono fiduciosi che quanto ottenuto in termini di capacità visiva perduri nel lungo periodo”.
Voretigene neparvovec, sviluppata dall’azienda farmaceutica Novartis, è la prima e unica terapia genica indicata per pazienti (che abbiano raggiunto almeno un anno d'età) con una forma di distrofia retinica ereditaria causata da una mutazione che colpisce entrambe le copie del gene RPE65. Una patologia degenerativa che compromette gravemente la vista. Si tratta di una terapia genica “one shot” che fornisce una copia funzionante del gene RPE65, che ha ottenuto l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio in Europa nel 2018 e, successivamente, l’autorizzazione e rimborsabilità in Italia da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ad inizio del 2021.
L’ECCELLENZA CAMPANA
Sebbene in quel periodo l’intero Paese stesse vivendo un momento molto complesso con la terza ondata della pandemia COVID-19 che prendeva forza, la Regione Campania ha immediatamente avviato un procedimento grazie a cui è stato possibile iniziare il trattamento dei primi bambini presso la Clinica Oculistica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Luigi Vanvitelli. I primi quattro bambini sono stati trattati già nel mese di aprile 2021, facendo poi seguire un altro paziente a maggio e concludendo con gli ultimi cinque a giugno. Il Centro campano è diventato così il primo Centro in Europa per numero di pazienti pediatrici trattati con la terapia genica e il secondo Centro per numero di pazienti totali (12 contro i 15 della Germania).
Un’eccellenza dovuta alla lunga esperienza acquisito negli anni in questo settore. Il percorso è iniziato, infatti, circa 15 anni fa quando è stata avviato il primo studio clinico di Fase I per testare l’efficacia e la sicurezza di voretigene neparvovec sui primi pazienti. Un trial che è stato realizzato grazie alla collaborazione tra l’Università Vanvitelli, la Fondazione Telethon e il Children’s Hospital di Philadelphia e che ha portato ai primi risultati incoraggianti. Tra l’altro, i primi pazienti trattati all’interno dello studio clinico sono stati tre italiani presso la Clinica Oculistica di Napoli. A conferma dell’eccellenza italiana nel campo delle terapie avanzate.
INDIVIDUARE I PAZIENTI
Prima di accedere all’intervento chirurgico, i pazienti sono stati tutti sottoposti ad una serie di esami di oftalmologia fra cui il test dell’acuità visiva, l’esame del campo visivo e del fondo oculare, e la misurazione delle spessore della retina centrale. Si tratta di una serie di controlli in parte simili a quelli a cui vengono sottoposti coloro che affrontano la procedura per la correzione della miopia e utili a verificare lo stato di salute dell’occhio. Infatti, per poter affrontare l’intervento chirurgico di somministrazione della terapia genica gli occhi dei pazienti devono rispondere a determinati criteri, fra cui un adeguato spessore della retina. Dopo aver verificato anche la soglia di sensibilità alla luce di coni e bastoncelli i pazienti sono stati portati in sala chirurgica dove l’iniezione della terapia genica è stata eseguita direttamente nella retina.
Forti della loro esperienza i ricercatori guidati dalla prof.ssa Simonelli hanno scelto di cominciare con i pazienti più giovani, dal momento che i risultati pubblicati sulla rivista The Lancet nel 2016, relativi allo studio di Fase I, dimostravano che minore era l’età, minore era il danno subito dall’occhio e maggiori erano i potenziali benefici del trattamento.
I RISULTATI A VISTA D’OCCHIO
Oltre al nistagmo (il movimenti rapido e incontrollabile dell’occhio che influisce sulla produzione di un’immagine fissa), uno dei più gravi sintomi delle gravi distrofie della retina è l’incapacità di vedere in condizioni di ridotta luminosità, che si misura con il test della soglia di sensibilità alla luce di tutto il campo (FST). A 45 giorni dalla somministrazione di voretigene neparvovec, tutti i pazienti hanno mostrato un miglioramento clinicamente significativo di sensibilità alla luce. Ma la cosa più importante è che tale miglioramento rimane inalterato fino a 18 mesi: i ricercatori hanno confrontato i risultati dei primi due bambini trattati quasi due anni prima, osservando che anche nel loro caso la capacità di vedere in condizioni di scarsa luminosità si è mantenuta.
Inoltre, prima della terapia i bambini presentavano un forte restringimento del campo visivo, come se vedessero attraverso il buco di una serratura, perdendo i dettagli presenti lateralmente. Questo creava notevoli problemi in tutte le loro attività quotidiane. Dopo il trattamento c’è stato un notevole allargamento del campo visivo, che in alcuni pazienti è arrivato al 300%. Anche l’acuità visiva è migliorata notevolmente: se mediamente ognuno di loro arrivava a leggere poco più del primo rigo dell’ottotipo (la tabella con lettere in scala che tutti abbiamo provato almeno una volta dall’oculista), dopo la terapia genica c’è stato un notevole miglioramento sia nella capacità di vedere da lontano che da vicino. Questi splendidi risultati sono stati confermati sul lungo periodo dai dati dei primi due bambini trattati a fine 2019, a testimonianza della durevole efficacia del trattamento.
“Abbiamo raggiunto un risultato straordinario: dieci bambini ipovedenti hanno riacquistato la vista. L’emozione di vedere le immagini di questi bambini che riescono, specie di sera, a giocare a pallone riempie di gioia”, ha affermato il Rettore dell’Ateneo Vanvitelli, Gianfranco Nicoletti. “Per questo devo ringraziare la Regione Campania che ha investito nella terapia genica, e la nostra Oculistica con la professoressa Simonelli e tutto il suo staff per l’eccellente lavoro svolto che ci pone tra i primi centri in Europa per il trattamento in età pediatrica”.
I PROSSIMI PASSI
Ad oggi, infatti, sono circa 3500 i pazienti con distrofie retiniche ereditarie seguiti alla Clinica Oculistica dell’Università campana, di cui più del 50% proviene da fuori regione. Tuttavia, il valore aggiunto di questa ricerca è la multidisciplinarietà: la somministrazione di una terapia genica richiede un team altamente preparato composto da oftalmologi esperti della patologia, ortottisti, microchirughi e infermieri. Una perfetta conoscenza del percorso terapeutico e dell’universo delle distrofie retiniche, insieme alla stretta collaborazione con genetisti, farmacisti, anestesisti e coordinatori clinici si sono rivelate fondamentali per questo successo.
Nella speranza che potrà essere replicato anche con altre patologie, come ad esempio la sindrome di Usher, una forma di retinite pigmentosa che si associa a ipoacusia per cui è pronto a partire uno studio clinico di Fase I, finanziato nell’ambito del progetto Horizon 2020.