Le istruzioni per le forbici genetiche di tipo NanoCas possono essere trasportate dentro a un unico virus raggiungendo agevolmente i tessuti più difficili da “editare”
Si tratta dell’ultimo strumento messo a punto dalla Mammoth Biosciences, la società biotech fondata da Jennifer Doudna, una delle due scienziate premiate con il Nobel per l’invenzione di CRISPR. I primi esperimenti fatti per dimostrarne il potenziale sono stati descritti su bioRxiv sotto forma di preprint, cioè di bozza non sottoposta a revisione dei pari. Ma hanno immediatamente attirato l’attenzione della comunità scientifica e della rivista Science. Rispetto al modello standard di CRISPR, che usa l’enzima Cas9 originario del batterio Streptococcus pyogenes, questa nuova variante è miniaturizzata. Subito ribattezzata NanoCas, ha già dimostrato di poter lavorare bene dove la classica Cas9 fatica a spingersi, come nei muscoli di topi e scimmie.
Le forbici genetiche inventate nel 2012 hanno molti pregi e una limitazione: fanno parte di una proteina ingombrante, costituita da oltre 1.300 aminoacidi. I modelli più sofisticati sviluppati successivamente per correggere il DNA senza recidere la doppia elica (base editing e prime editing) oppure per modificare il livello di espressione del gene senza alterare la successione delle sue lettere (editing epigenetico) sono ancora più voluminosi, perché alla struttura proteica di base devono essere fusi gli appositi elementi effettori. Di conseguenza sono lunghe anche le istruzioni da portare dentro alle cellule per produrre i vari strumenti CRISPR, ovvero le sequenze di DNA che specificano tutti gli aminoacidi da montare come se fossero mattoncini del Lego al fine di ottenere le proteine corrispondenti. Non è tutto: qualunque tipo di CRISPR si usi, è necessario equipaggiarla con una piccola molecola guida, che identifica il sito bersaglio da editare. Se si vuole usare un virus per trasportare questi ingredienti dentro al corpo del paziente per eseguire l’editing in vivo, magari un virus adeno-associato come quelli impiegati nella terapia genica di tipo convenzionale, ci si scontra fatalmente con un problema di spazio. Un solo virus non basta per contenere tutto ciò che serve per effettuare la correzione genetica desiderata, mentre organizzare due spedizioni significa pagare un prezzo in termini di efficienza. Se invece come vettori si scelgono le goccioline di grasso, il problema è dotarle di un “codice di avviamento postale” che consenta di smistarle alla destinazione prescelta. Le nanoparticelle lipidiche raggiungono facilmente il fegato, di fatti sono già state utilizzate nella sperimentazione clinica per l’amiloidosi da accumulo di transtiretina, ma è complicato indirizzarle verso altri distretti corporei, come il cervello o i muscoli. Non stupisce, quindi, che diversi gruppi si siano impegnati per cercare di rimpicciolire CRISPR, sperando di poter sfruttare l’abilità dei virus di farsi varco in modo più o meno selettivo nelle varie parti del corpo.
A riuscire nell’impresa potrebbero essere stati il direttore scientifico della Mammoth Biosciences Lucas B. Harrington e i suoi collaboratori, che hanno passato in rassegna le innumerevoli varianti di CRISPR identificate nel mondo microbico, arrivando a una rosa di 176 candidati da testare fino a trovare il proverbiale ago nel pagliaio. Con i suoi 425 aminoacidi, la NanoCas è grande circa un terzo della Cas9 usata da anni nei laboratori di tutto il mondo, dunque è abbastanza piccola da potersi accomodare dentro a un singolo virus. I ricercatori della Mammoth Biosciences hanno apportato qualche ritocco per adattare il nuovo mini-strumento al DNA dei mammiferi: una singola mutazione, in particolare, ha aumentato drammaticamente la capacità di legarsi al DNA e di editarlo, mantenendo intatta la specificità. Quindi hanno messo alla prova la NanoCas nel topo. Dapprima con un compito abbastanza semplice: inattivare un gene coinvolto nella regolazione del colesterolo (PCSK9). In termini di efficienza il nuovo sistema ha eguagliato le performance della Cas9, correggendo il 60% delle cellule bersaglio. Poi è arrivato un compito più difficile: intervenire sui muscoli, prendendo di mira un gene coinvolto nella distrofia muscolare di Duchenne, quello della distrofina (Osservatorio Terapie Avanzate ha illustrato qui gli studi clinici in corso nell’ambito della terapia genica per questa malattia).
Usando come modello sperimentale dei topi portatori della mutazione umana, la NanoCas è riuscita a editare dal 10 al 40% delle cellule in una varietà di tessuti muscolari, cuore compreso. Infine al posto dei topi sono stati usati tre macachi sani. Iniettando i virus adeno-associati contenenti la NanoCas con la sua molecola guida, è stato raggiunto un risultato buono nei muscoli scheletrici e discreto nel cuore (rispettivamente fino al 30% e al 15% di cellule editate). Secondo i commenti raccolti da Science tra gli specialisti del settore, si tratta di livelli che – se replicati negli esseri umani – potrebbero rivelarsi significativi dal punto di vista clinico. Oltre a proseguire il lavoro sulla distrofia, l’azienda ha dichiarato di volersi dedicare ad altre malattie muscolari e persino cerebrali.
Tra centinaia di migliaia di sistemi CRISPR evoluti in natura, finora si erano fatte notare per compattezza la CasX, la Cas12i e la SaCas9 (originaria dello Staphylococcus aureus, Osservatorio Terapie Avanzate ne ha parlato qui). Pur avendo dimensioni ridotte rispetto alla classica Cas9, comunque, nemmeno queste proteine erano abbastanza compatte da potersi fare carico di elementi effettori senza superare i limiti di capienza di un virus. Le più piccole fra le piccole erano la Cas14 (o Cas12f) e alcune varianti ancestrali (TnpB, e IscB), ma non sembravano garantire un’attività robusta come quella a cui ci hanno abituato i sistemi standard e non sono mai state messe alla prova su primati non umani. La NanoCas, invece, appare in grado di soddisfare al tempo stesso le due principali necessità - semplicità di delivery ed efficenza di editing - e potrebbe davvero rappresentare il tanto atteso balzo in avanti.