Gli oltre due milioni sono un grande scalino da superare per portare la terapia basata su CRISPR ai pazienti, ma una soluzione va trovata o si rischia di perdere un’opzione di trattamento efficace
L'autorizzazione della prima terapia basata su CRISPR, (exagamglogene autotemcel, nome commerciale Casgevy), rappresenta un importante traguardo per le terapie avanzate, soprattutto se si pensa che la tecnica è stata scoperta solo nel 2012. Sviluppata da Vertex Pharmaceuticals e CRISPR Therapeutics, questa terapia è stata approvata prima in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, a fine 2023, e poi in Europa, ad inizio del 2024, per l'anemia falciforme severa (SCD) e la beta-talassemia dipendente dalle trasfusioni, condizioni che compromettono la produzione di emoglobina funzionale e causano complicazioni potenzialmente letali. Tuttavia, il prezzo elevato di Casgevy, fissato a 2,2 milioni di dollari per paziente in USA, solleva importanti questioni etiche legate all'equità e all'accessibilità, entrambi argomenti “caldi” nel dibattito pubblico sulle terapie avanzate. L’articolo “Affordable Pricing of CRISPR Treatments is a Pressing Ethical Imperative”, pubblicato a ottobre sul CRISPR Journal, ha dato una prospettiva sul tema.
Quando si parla di terapie avanzate la sostenibilità è uno dei punti principali da affrontare, anche se non è l’unico su cui bisogna concentrarsi. Il valore della terapia è qualcosa che va oltre l’aspetto economico, ma se quest’ultimo impedisce al trattamento di arrivare al paziente è un grosso problema. Oltre a Casgevy, altri esempi di terapie con un prezzo molto elevato sono Lenmeldy, per la leucodistrofia metacromatica, a 4.25 milioni di dollari (in Europa si chiama Libmeldy e in Italia il prezzo ex factory è 2.875.000 euro) e Lyfgenia, per l’anemia falciforme, che non è disponibile nel Vecchio Continente (ne abbiamo parlato qui) e che negli Stati Uniti costa quasi 1 milione di dollari in più rispetto a Casgevy. Come scritto nello studio, “Casgevy condivide problemi di equità simili con altre terapie geniche e cellulari all'avanguardia. I prezzi multimilionari di queste terapie sono spesso inaccessibili per molti sistemi sanitari nazionali, per diversi piani assicurativi privati e per le tasche della maggior parte dei potenziali beneficiari”.
La motivazione per un costo così elevato è radicata in vari fattori economici e tecnici. Innanzitutto, il processo di sviluppo di queste terapie è estremamente dispendioso, richiedendo anni di ricerca e investimenti significativi per rispettare rigorosi standard normativi e ottenere solide prove cliniche, da poter poi presentare agli enti regolatori per arrivare all’approvazione. Inoltre, il processo di produzione è intrinsecamente complesso: la terapia prevede l'estrazione delle cellule staminali ematopoietiche dal paziente, la loro manipolazione genetica in laboratorio e tutti i controlli di qualità necessari (solo questa fase intermedia può durare dalle 4 alle 6 settimane), e la successiva reinfusione dopo un trattamento preparatorio del midollo osseo e tutti i controlli di sicurezza sul prodotto, che sono molto stringenti. La produzione di vettori virali, su cui si basa la somministrazione, è un passaggio cruciale del processo e può rappresentare quasi metà del costo complessivo della terapia.
Se da un lato è comprensibile tutto quello che c’è “dietro” la produzione del prodotto, dall’altro è evidente il divario che c’è tra l’innovazione scientifica e la sua reale disponibilità. L'accesso limitato a terapie come exagamglogene autotemcel è un problema etico attualissimo: sebbene i Paesi ad alto reddito abbiano una maggiore capacità di assorbire costi simili (e comunque restano dei problemi in questo senso), in Paesi a basso reddito, dove ad esempio si registra l’80% dei casi globali di anemia falciforme, l’accesso a queste terapie risulta praticamente impossibile. Ma è anche vero che negli Stati Uniti i casi si manifestano per lo più in chi appartiene alle fasce socio-economicamente più deboli; quindi, il problema è sentito anche dei Paesi benestanti. È evidente che il mercato delle terapie avanzate sia sbilanciato: questa disparità accentua le ingiustizie sanitarie esistenti e pone la questione di chi debba effettivamente beneficiare di tali progressi medici (e anche di chi deve pagare e come). Le implicazioni morali di questa situazione sono evidenti: consentire che il trattamento rimanga inaccessibile a causa di costi proibitivi non è solo una questione di disuguaglianza economica, ma anche una grave mancanza di giustizia sociale e sanitaria.
Spesso, l’orientamento al profitto in tempi brevi - comprensibile per le aziende farmaceutiche che per anni hanno investito nello sviluppo della terapia - si scontra con la necessità di garantire l'accesso universale. Alcuni esempi dimostrano che alternative sono possibili, anche se non di facile realizzazione. In India, ad esempio, sono state introdotte terapie CAR-T a prezzi notevolmente inferiori rispetto agli standard internazionali, suggerendo che modelli più sostenibili sono attuabili (anche se alcuni aspetti sono sicuramente da ottimizzare). Inoltre, collaborazioni tra enti pubblici e privati puntano a sviluppare trattamenti più accessibili attraverso la ricerca su approcci in vivo meno costosi.
Una delle strategie che si stanno approfondendo è, appunto, quella di puntare sui trattamenti in vivo: agendo direttamente all’interno dell’organismo – evitando il prelievo delle cellule del paziente, la loro modifica in laboratorio e la successiva reinfusione – i costi si abbasserebbero. In ogni caso non sarebbe la soluzione definitiva, visto che ci sono terapie in vivo che eguagliano i prezzi delle terapie ex vivo più costose. Un’altra importante strategia è la creazione di terapie “modulari”, in cui la piattaforma è la stessa ma cambiano alcuni elementi per renderla utilizzabile per diverse patologie, abbassando così i costi.
Oltre all’accesso alle terapie già approvate come Casgevy, c’è anche il problema della sostenibilità dei programmi clinici: è di pochi mesi fa la notizia dell’interruzione di uno studio di una terapia sperimentale a base di editing genomico in grado di trattare una forma di degenerazione retinica per motivi economici. L’esperienza della pandemia di COVID-19 ha mostrato che quando c’è una volontà globale, i finanziamenti e le risorse possono essere mobilitati rapidamente per garantire l’accesso su vasta scala. Inoltre, l’urgenza di soluzioni etiche e praticabili è amplificata dal paradosso della biotecnologia moderna: in un mondo in cui esistono i mezzi per trattare malattie genetiche gravi, lasciare che l’accesso a questi trattamenti sia determinato unicamente dal potere economico rappresenta un’ingiustizia profonda. È anche essenziale evitare che le guerre per i brevetti ritardino l'erogazione dei trattamenti a base di CRISPR ai pazienti. Una ingiustizia che potrebbe anche rianimare il filone dei biohacker, che fin dall’inizio hanno difeso la democratizzazione di CRISPR sulla base del suo essere economica e facile da usare.
La promessa delle terapie a base di CRISPR dovrebbe trasformarsi in realtà per un numero sempre maggiore di pazienti e, senza interventi mirati per rendere sostenibile la diffusione di queste terapie, c'è il rischio che il progresso in medicina diventi un ulteriore strumento di disuguaglianza.