All’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma sono stati trattati per la prima volta tre giovani pazienti affetti da lupus eritematoso sistemico e dermatomiosite. Stanno bene e in remissione di malattia
Una delle prime interviste svolte dalla nostra redazione sul tema delle terapie a base di cellule CAR-T era rivolta al prof. Lorenzo Dagna, immunologo di Milano che aveva commentato i risultati di uno studio preclinico su modelli animali volto ad utilizzare le CAR-T per contrastare il lupus eritematoso sistemico. Da allora sono passati quasi cinque anni e due giorni fa, in un comunicato stampa diffuso dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, è stato annunciato il successo di queste terapie avanzate nel trattamento di tre giovani pazienti affetti da malattie autoimmuni. Scorrendo le conclusioni del prof. Dagna e mettendole a confronto con quest’ultima notizia risultano evidenti e incontrovertibili i progressi compiuti dalle terapie CAR-T e dall’intero settore dell’immunoterapia.
“Il modello CAR-T è molto interessante perché permette di colpire in maniera precisa e selettiva alcune popolazioni cellulari”. Con queste parole si chiudeva la riflessione del professor Dagna ed esattamente qui sta il fulcro di un programma che ha portato due ragazze italiane e un bambino ucraino di 12 anni, fuggito dalla guerra, ad essere i primi pazienti pediatrici affetti da gravi patologie autoimmuni ad essere stati trattati con cellule CAR-T capaci di mandare in remissione la loro malattia. Si tratta, dunque, di un’applicazione innovativa della terapia genica basata sulla manipolazione dei linfociti T del paziente, sperimentata per la prima volta in ambito pediatrico su questo tipo di patologie. I risultati del trattamento, eseguito presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, sono stati presentati recentemente a Padova, nell’ambito dei lavori del Centro Nazionale 3 per lo sviluppo della terapia genica previsto dal PNRR, e ancora a Rotterdam, in occasione dell’ultimo Congresso europeo di Reumatologia pediatrica.
“La terapia genica rappresenta una sfida e un’opportunità unica per i sistemi sanitari globali”, afferma il presidente dell’Ospedale Bambino Gesù, Tiziano Onesti. “Ci consente di offrire risposte concrete a pazienti che fino a poco tempo fa erano senza speranza, affrontando malattie genetiche e condizioni cliniche gravi in modo personalizzato e mirato. Inoltre, la terapia genica promette di emancipare i pazienti da condizioni di cronicità, migliorando la loro qualità di vita e riducendo i costi a lungo termine associati alla gestione delle malattie croniche. Questa rivoluzione medica non solo offre speranza e guarigione ma anche la possibilità di rafforzare la sostenibilità dei sistemi sanitari, liberando risorse per migliorare la salute generale e promuovere ulteriori scoperte mediche”. Una visione lungimirante e sincera di quella che è una delle più promettenti tecniche della medicina moderna.
Le CAR-T, infatti, avevano finora trovato applicazione nell’ambito di malattie neoplastiche - quali leucemie, linfomi e mielomi - ma, partendo dalle descrizioni di cinque casi di pazienti adulti affetti da lupus eritematoso trattati con successo con la terapia a base di cellule CAR-T (di cui avevamo parlato qui), i ricercatori del polo ospedaliero romano hanno pensato di testare la stessa soluzione per la prima volta anche in ambito pediatrico, utilizzando il “costrutto” che aveva funzionato con gli adulti affetti da lupus, ossia il prodotto di terapia genica messo a punto dall’azienda biotecnologica Miltenyi. Di qui la richiesta ad AIFA di uso non ripetitivo (hospital exemption) del trattamento con CAR-T per tre pazienti con forme di malattia autoimmune particolarmente gravi e refrattarie ai trattamenti convenzionali. In particolare, i tre pazienti trattati con le cellule CAR-T all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù erano affetti da forme molto gravi di lupus eritematoso sistemico (LES), una malattia cronica che può attaccare reni, polmoni e sistema nervoso centrale, e dermatomiosite, una rara patologia infiammatoria autoimmune che colpisce la cute ed i muscoli scheletrici.
Condizioni come queste sono contraddistinte da un’eccessiva aggressività del sistema immunitario il quale, invece di difendere l’organismo da agenti patogeni come batteri e virus, si rivolge contro i tessuti sani propri di un individuo scambiandoli per estranei e pericolosi e finendo col distruggerli. Questo malfunzionamento può causare un processo infiammatorio e la formazione di anticorpi che attaccano erroneamente le cellule sane colpendo potenzialmente qualsiasi parte del corpo, inclusi organi vitali quali il rene e i polmoni, le articolazioni, la pelle, i vasi sanguigni e altri tessuti. Pertanto, i ricercatori hanno pensato di sfruttare le CAR-T allo scopo di mettere un argine a questo attacco: nelle leucemie linfoblastiche acute e nei linfomi non-Hodgkin il recettore chimerico CAR espresso dai linfociti T ingegnerizzati riconosce quale suo bersaglio l’antigene CD19 (presente sulle cellule tumorali) rendendole visibili ai linfociti T che lo attaccano. Lo stesso antigene CD19 è espresso anche dai linfociti B del sistema immunitario, che nel caso del LES e delle dermatomiositi, giocano un ruolo cruciale nella patogenesi di malattia. “Usando lo stesso bersaglio trasliamo il medesimo approccio di terapia genica da un contesto di malattia neoplastica (leucemie e linfomi) a un contesto di patologia non neoplastica, ma dove gli elementi che producono il danno sono i linfociti B che esprimono CD19”, precisa Franco Locatelli, Professore Ordinario di Pediatria all’Università Cattolica del Sacro Cuore e responsabile dell’area di Oncoematologia e Terapia Cellulare e Genica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
Un approccio vincente giacché tutti e tre i pazienti trattati hanno riscontrato benefici rilevanti e sostenuti nel tempo: a distanza di diversi mesi dal trattamento con cellule CAR-T, coerentemente con quanto riscontrato nei pazienti adulti descritti in letteratura, sono in remissione di malattia e non assumono più farmaci immunosoppressori. La prima paziente, una ragazza messinese di 17 anni affetta da lupus, è a quasi 9 mesi ormai dall’infusione di cellule CAR-T. Il secondo paziente, un bambino ucraino di 12 anni affetto da dermatomiosite, è a 7 mesi dal trattamento: era seguito nella capitale ucraina prima della guerra, poi trasferito in Ungheria, infine in Italia, al Bambino Gesù di Roma, dove ha potuto beneficiare della terapia con CAR-T. La terza paziente, una ragazza romana di 18 anni anche lei affetta da lupus (patologia molto più frequente nelle femmine rispetto ai maschi), è a circa 2 mesi dal trattamento: era stata ospedalizzata per 6 mesi di seguito, dipendente da ossigeno, più volte assistita in rianimazione, con effetti collaterali importanti dovuti alle terapie cortisoniche. Oggi è a casa in buone condizioni generali di salute.
“Sono dati assolutamente rilevanti”, conclude Fabrizio De Benedetti, responsabile dell’area di ricerca di Immunologia, Reumatologia e Malattie infettive. “Tutti e tre i pazienti avevano risposto in maniera insoddisfacente a terapie immunosoppressive aggressive, necessarie per la gravita della loro malattia, e allo stesso tempo avevano sviluppato importanti effetti collaterali. I risultati ottenuti con le cellule CAR-T ci incoraggiano a proseguire nella direzione di un trial clinico che possa comprendere un numero più ampio di pazienti pediatrici affetti da varie malattie autoimmuni in cui un ruolo fondamentale nello sviluppo è giocato dai linfociti B”.