Le sue condizioni erano disperate, i reni erano al collasso e non c’erano altre soluzioni terapeutiche utili. Dopo le CAR-T, la quindicenne Uresa sta bene

Il suo caso, pubblicato sulla rivista The Lancet, potrebbe essere destinato a entrare nella storia della medicina, come il precedente di Emily Whitehead, la bambina divenuta il simbolo del successo delle terapie a base di cellule CAR-T. Mentre Emily era affetta da una grave forma di leucemia (storia raccontata nel podcast di OTA “Reshape – un viaggio nella medicina del futuro”) - indicazione per cui le CAR-T sono state approvate prima negli Stati Uniti e poi in Europa - Uresa soffre di lupus eritematoso sistemico (LES), una patologia cronica autoimmune le cui manifestazioni danneggiano tutto l’organismo. La differenza non è poca perché il caso di Uresa trascina le CAR-T in un universo parallelo a quello delle malattie oncologiche, verso un probabile trattamento di disturbi autoimmuni che interessano milioni di persone nel mondo

L’ipotesi di trattare il lupus eritematoso sistemico con le CAR-T non è del tutto nuova - ne abbiamo già parlato qui e qui - e alcune pubblicazioni in cui si ipotizzava la fattibilità di questo approccio alla malattia risalgono a diversi anni fa e sono supportate dalla patogenesi stessa della malattia. Infatti, il LES è una condizione infiammatoria multisistemica che scatena un pesante danno tessutale immunomediato: è come se il sistema immunitario si lanciasse violentemente all’attacco dei tessuti dell’organismo. La malattia fa il suo esordio con sintomi generici, come affaticamento, febbre e calo ponderale, per poi proseguire con la comparsa di forme di artrite o mialgia e con manifestazioni dermatologiche caratteristiche - tra cui il rash eritematoso a “farfalla” sul dorso del naso e sulle guance che le è valso il nome caratteristico, lupus, dal momento che ricorda il morso di un lupo.

Con la recente pubblicazione di un case report sulla rivista The Lancet, un gruppo di pediatrici, immunologi e specialisti di medicina interna del Deutsches Zentrum Immuntherapie presso l’Universitätsklinikum di Erlangen (Germania) ha descritto lo straordinario protocollo di trattamento di Uresa A. : una ragazza di 15 anni affetta da una severissima forma di LES. 

Sebbene già sottoposta a trattamento con molteplici farmaci (idrossiclorochina e clorochina per le lesioni cutanee e le artralgie; corticosteroidi per controllare il rash cutaneo e le irritazioni; ciclofosfamide o azatioprina per limitare l’azione del sistema immunitario; anticorpi monoclonali per combattere lo stato di infiammazione diffusa) per rallentare la progressione della malattia, Uresa non sembrava migliorare. Anzi, il LES si era pericolosamente esteso al comparto renale, causandole lo sviluppo di una nefrite lupica, con proteinuria, aumento dei livello di creatinina e fosfatemia. L’esecuzione di una biopsia renale aveva messo in evidenza la presenza di una glomerulonefrite membranosa proliferativa diffusa e necrotizzante, una condizione molto grave che ha costretto Uresa a ricorrere alla dialisi. 

A quel punto la situazione era critica e, in assenza di alternative, i medici si sono trovati di fronte a una sola possibilità: ricorrere alle CAR-T per cercare di bloccare la malattia. Sulla ragione per cui questa innovativa forma di trattamento possa essere vantaggiosa contro le malattie autoimmuni ci eravamo già soffermati e, di fatto, proprio i buoni risultati ottenuti da un ricercatore tedesco - Georg  Schett, che compare anche tra i coautori dell’attuale case report di cui Uresa è protagonista - avevano indotto a pensare che quella delle CAR-T si potesse rivelare la strada giusta per “resettare” un sistema immunitario impazzito e riportarlo nelle condizioni di normalità. Inoltre, il centro di Erlagen aveva un precedente interessante sull’utilizzo di questi delicati e complessi trattamenti in casi di marcata infiammazione muscolare, cosa che ne conferma l’esperienza nella gestione delle possibili complicazioni.

Fino a quel momento le CAR-T erano state utilizzate sostanzialmente per la cura di bambini e adulti affetti da tumori ematologici e non esisteva una concreta esperienza clinica contro le malattie autoimmuni, specialmente in una persona così giovane come Uresa. “Per questo motivo un’applicazione iniziale di tal genere richiedeva una preparazione e una valutazione dei rischi particolarmente elevate”, spiega sul portale universitario il prof. Markus Metzler, responsabile dell’Oncologia Pediatrica dell’Universitätsklinikum di Erlangen. Il caso di Uresa è stato discusso collegialmente da un’équipe multidisciplinare e, secondo le norme vigenti in Germania, la ragazza è stata inserita in un programma di accesso allargato per l’erogazione ad uso compassionevole della terapia, la quale è stata ottenuta a partire da a un prelievo di cellule processate usando un sistema automatizzato chiuso  (CliniMACS Prodigy System di Miltenyi biotec) che ha permesso di disporre in tempi brevi del prodotto finito.

Uresa è stata sottoposta a un leggero ciclo di chemioterapia per consentire alle CAR-T di svolgere la loro azione: la parte più complessa di questa prima fase era fare in modo che la chemioterapia non venisse eliminata con la dialisi e potesse fare effetto senza, peraltro, interferire con i trattamenti per la patologia renale perché se la ragazza non fosse stata in buone condizioni di salute il successo dell’operazione sarebbe stato in forte dubbio. Uresa è stata sottoposta a infusione circa un anno fa e, già pochi giorni dopo, i valori renali hanno cominciato a migliorare. Parallelamente, il numero di cellule CAR-T circolanti nel sangue è cresciuto, rimanendo stabile anche ai successivi controlli. Ma quel che era più importante è che il LES sembrava regredire: i dolori articolari e l’infiammazione erano spariti e anche gli esami ematologici - dosaggio dei fattori del complemento, C3 e C4, e dei livelli di autoanticorpi - stavano rientrando nella norma.

I medici non avevano mai assistito a un fenomeno del genere. Gradualmente, tutti i sintomi della malattia sono scomparsi. Dopo circa dieci giorni Uresa è stata dimessa dall’ospedale e alcuni mesi più tardi è tornata a scuola e ha potuto rivedere i suoi amici. Oggi Uresa ha sedici anni e sta bene, come ha dichiarato lei stessa un paio di settimane fa: “un anno dopo il trattamento mi sento bene come prima della diagnosi, fatta eccezione per qualche raffreddore”. Ovviamente, una volta al mese deve continuare a ricevere la terapia a base di immunoglobuline per via endovenosa dal momento che le CAR-T hanno eliminato tutti i linfociti B, sia quelli “fuori controllo” che erano la causa della malattia che quelli ancora sani, ma l’aspetto significativo è che Uresa non sta assumendo altre terapie per il LES e che il suo stato di salute è rimasto ottimale. I suoi reni, a rischio di collasso prima del trattamento con le CAR-T, sono tornati a funzionare bene e la ragazzina non ha più nemmeno bisogno della dialisi. La sua è una remissione completa.

“Un tale successo è stato possibile solo grazie alla stretta collaborazione tra i medici di diverse discipline del Deutsche Zentrum Immuntherapie”, sottolinea il prof. Schett, coordinatore di un gruppo di ricerca che, sulle pagine del The New England Journal of Medicine ha pubblicato una serie di 15 casi di pazienti affetti da malattie autoimmuni (LES, miosite infiammatoria idiopatica e sclerosi sistemica) trattati con successo con le CAR-T: quanti avevano ricevuto il trattamento si erano mantenuti in buona salute e avevano riportato una riduzione significativa dei sintomi. Nel caso di Uresa, la scelta di effettuare il trattamento così presto, quando la ragazza aveva solo 15 anni, ha contribuito notevolmente al successo ma prima di poter davvero affermare che le CAR-T rappresentino una soluzione per malattie autoimmuni come questa sarà necessario attendere i risultati degli studi su una più ampia casistica di persone. 

Altri centri di ricerca, anche in Italia, stanno lavorando alla realizzazione di terapie avanzate contro il LES che, similmente ad altri disturbi infiammatori sistemici, costituisce un terreno di battaglia ideale per i “superlinfociti”. Ma per rispondere alla domanda se queste terapie saranno la chiave per aggredire le patologie autoimmunitarie occorrerà altro tempo.

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