Cervello

Si è tenuto a metà febbraio, al Sanford Consortium for Regenerative Medicine (Stati Uniti), il primo Summit con lo scopo di affrontare le implicazioni etiche della ricerca sugli organoidi cerebrali 

Grazie all’evoluzione delle tecniche di manipolazione delle cellule staminali e all’introduzione di nuove tecnologie, oggi la ricerca ha a disposizione diversi modelli di organoidi umani per studiare le malattie e ideare possibili terapie. Tra gli organoidi creati fino ad oggi ci sono anche quelli cerebrali e, negli ultimi anni, la comunità scientifica ha cominciato a chiedersi quanto avanti fosse consentito spingersi nel tentativo di ottenere organoidi sempre più simili a un cervello vero e proprio. Proprio per discutere di questi dilemmi, e delle implicazioni che potrebbero esserci nel campo della ricerca sugli organoidi cerebrali, molti scienziati che si occupano di staminali si sono riuniti al Sanford Consortium for Regenerative Medicine dando luogo al primo vero ‘Summit etico’ sul tema.

“Immaginate che un essere umano (potreste immaginare di essere voi) sia stato sottoposto ad un’operazione da parte di uno scienziato malvagio. Il cervello di quella persona (il vostro cervello) è stato rimosso dal corpo e messo in un’ampolla piena di sostanze chimiche che lo tengono in vita. Le terminazioni nervose sono connesse ad un computer superscientifico […]”. Così Hilary Putnam nel 1981 descriveva, nel suo libro ‘Reason, Truth and History’, il famoso esperimento mentale dei cervelli in una vasca. Qualcuno potrebbe obiettare che la realtà di oggi non sia poi così diversa. Nel laboratorio di Alysson Muotri, neuroscienziato e ricercatore dell’Università della California (San Diego) centinaia di cervelli umani in miniatura, delle dimensioni di un chicco di riso, galleggiano immersi in un liquido di mantenimento, disposti su membrane porose all’interno di capsule di Petri. Queste strutture, conosciute come organoidi cerebrali, sono il risultato dell’incredibile evoluzione delle tecniche di manipolazione delle cellule staminali, ma anche dell’introduzione di tecnologie di ultima generazione come la stampa 3D, e potrebbero rappresentare il primo vero punto di svolta nella lotta alle malattie neurodegenerative e psichiatriche.

Tuttavia, da quando nel 2019 il gruppo di Muotri ha pubblicato su Stem Cells un articolo che riportava la creazione di organoidi la cui attività elettrica cerebrale era paragonabile a quella di un feto tra le 12 e le 13 settimane di età, hanno iniziato a porsi i primi dilemmi etici. Gli scienziati stessi hanno cominciato a chiedersi quanto avanti fosse consentito spingersi nel tentativo di ottenere organoidi sempre più simili a un cervello vero e proprio. C’è la possibilità che diventino coscienti? Lo faranno mai? Questi organoidi potrebbero avere diritto a trattamenti speciali non concessi ad altri ammassi cellulari? In ultimo, ma non certo per importanza, cos’è la coscienza e quand’è che possiamo definire un organismo ‘senziente’?

GLI ORGANOIDI

Grazie all’evoluzione delle tecniche di manipolazione delle cellule staminali (come le cellule staminali pluripotenti indotte - iPSC) e all’introduzione di nuove tecnologie (come la stampa 3D), oggi la ricerca ha a disposizione diversi modelli di organi umani: tra cui fegato, intestino, stomaco, reni, pancreas, cuore, tiroide, retina, ghiandole mammarie, ovaio e, infine, cervello.

Nell’ultimo decennio lo sviluppo di questi organoidi ha allargato gli orizzonti di studio, sia per quanto riguarda la ricerca di base sui processi fondamentali della biologia sia per quello che concerne la possibilità di capire meglio diverse patologie e, auspicabilmente, trovare una terapia efficace. Gli organoidi sono stati utilizzati per lo studio delle malattie cardiovascolari, del cancro (ne abbiamo parlato qui e qui) ma anche, ad esempio, per lo studio delle conseguenze delle infezioni virali sui polmoni, inutile ricordare l’impatto che ha avuto il SARS-CoV-2 su questo organo   

LO SVILUPPO DEGLI ORGANOIDI CEREBRALI

Tra i diversi mini-organi che oggi vengono coltivati in laboratorio, gli organoidi cerebrali sono senza dubbio quelli che suscitano la maggiore attenzione, e non solo per le aspettative di natura clinica, ma anche, e soprattutto, perché richiamano ad alcune considerazioni di carattere etico

Si tratta di strutture cellulari tridimensionali artificiali, generate a partire da cellule staminali umane (gli ultimi sono modelli tissutali 3D derivati da cellule staminali pluripotenti indotte). Il primo articolo a riportare la notizia della creazione di un organoide cerebrale risale al 2013: pubblicato dalla rivista Nature, riporta i risultati di un lavoro condotto dai ricercatori dell’Österreichische Akademie der Wissenschaften (Accademia Austriaca delle Scienze) sulla microcefalia. Lo sviluppo degli organoidi cerebrali è proseguito nel corso degli anni con diverse finalità, dagli studi sullo sviluppo neurologico tipico a quelli sulle infezioni cerebrali, dalla ricerca sulle malattie neurodegenerative e psichiatriche a quella sulle alterazioni del neurosviluppo alla base dei disturbi dello spettro autistico, fino allo studio della sindrome dell’ X fragile.  

Si sono già dimostrati fondamentali in molti campi ma, al tempo stesso, stanno sollevando numerosi interrogativi etici e molti ne solleveranno ancora al progredire della tecnologia. Dopo alcuni mesi di coltura, infatti, questi mini-cervelli riproducono con una discreta approssimazione i diversi tipi di cellule nervose e l’architettura dell’encefalo. Tuttavia, non sono in grado di sviluppare autonomamente vasi sanguigni né apparati sensoriali. L’ossigeno penetra difficilmente nelle parti più interne, le quali sono spesso necrotiche e possono interferire col normale processo di differenziamento. Ciò ne limita la maturazione e li rende inutilizzabili, in provetta, come modelli di ricerca dei circuiti somatosensoriali.

LA RICERCA AVANZA VELOCEMENTE

Da qui l’idea di impiantarli nella corteccia cerebrale dei ratti: per consentire lo sviluppo della vascolarizzazione, la maturazione delle cellule neurali e l’integrazione nei circuiti sensoriali. La sperimentazione ha dato buoni risultati, dimostrando che gli organoidi cerebrali umani possono prosperare nel nuovo ambiente e sopravvivere per l’intera esistenza dell’animale. Come si evince da uno studio pubblicato lo scorso ottobre su Nature da un gruppo di ricerca del Dipartimento di Psichiatria e Scienze Comportamentali dell’Università di Stanford (California), gli organoidi cerebrali umani inseriti nella corteccia somatosensoriale di ratti appena nati sono maturati e divenuti parte integrante dei circuiti neuronali deputati a ricevere ed elaborare informazioni sull’ambiente, arrivando a costituire oltre il 15% dei tessuti complessivi. Tuttavia, non si è capito se queste cellule umane siano in grado di modulare l’attività dell’organismo ricevente e di guidarne, almeno parzialmente, il comportamento. La risposta a questo interrogativo potrebbe sollevare problemi etici su una eventuale ‘umanizzazione’ dei modelli animali, con la possibile creazione di entità biologiche ambigue. 

Tanto più che la ricerca sugli organoidi cerebrali sta avanzando a grandi passi. In un altro studio, pubblicato pochi mesi fa su Nature Communications i ricercatori dell’Università della California a San Diego hanno dimostrato che gli organoidi di cervello umano sono in grado di creare connessioni con un cervello reale di topo e di rispondere a stimoli visivi. Nei Cortical Labs di Melbourne (Australia), invece, i ricercatori hanno fatto crescere in vitro reti neurali di origine umana e/o murina su chip di silicio e tessuto molle, permettendo così lo scambio di impulsi elettrici. Lo studio, pubblicato sulla rivista Cell, si è basato su un sistema chiamato DishBrain: un agglomerato di 800mila neuroni (il nostro cervello ne conta oltre 86 miliardi) è stato fatto crescere su micro-elettrodi e ha ‘imparato’ a giocare a Pong - un videogame di prima generazione che simula una partita a ping pong. I ricercatori hanno osservato un evidente apprendimento già dopo soli cinque di gioco. Le colture di neuroni, quindi, mostrano la capacità di riorganizzare il comportamento in modo mirato, migliorando la propria prestazione e incrementando le probabilità di colpire la pallina al tiro successivo.

La rettifica della propria attività in vista di un obiettivo, pur in assenza di una vera e propria consapevolezza, è uno dei marchi dell’intelligenza. Le reti neurali dei Cortical Labs non possono nemmeno essere chiamati organoidi dato che non simulano neppure l’organizzazione encefalica. Tuttavia, un'entità che realizza un comportamento intelligente e che può potenzialmente interagire in modo finalistico con l'essere umano si candida ad avere uno status particolare. Del resto, anche cervello molto piccoli, come quelli degli insetti, possono svolgere compiti piuttosto complessi e sono unanimemente considerati dotati di una, seppur basica, coscienza.

IL SUMMIT AL SANFORD CONSORTIUM FOR REGENERATIVE MEDICINE

Ma allora, quand’è che un’entità può essere considerata senziente? È una domanda che i ricercatori hanno già iniziato a porsi da parecchi anni, come evidenzia un articolo pubblicato nel 2020 su Nature. Ne hanno discusso, lo scorso febbraio, gli scienziati riuniti al Sanford Consortium for Regenerative Medicine in una conversazione di ampio respiro che ha coinvolto anche il pubblico generalista. Il moderatore del dibattito, il bioeticista J. Benjamin Hurlbut, e tutti i relatori hanno convenuto che si tratta di un territorio inesplorato e hanno sottolineato l’importanza di un dialogo trasparente che non neghi le delicate implicazioni etiche né soffochi la scienza. Come ha espresso Jacob Henna, relatore e ricercatore presso il Weizmann Institute of Science in Israele: “La ricerca in questo campo non può essere espressa in termini binari: come etica o non etica. È un continuum all’interno del quale è necessario muoversi trovando un equilibrio rischi-benefici, come già da decenni accade per farmaci e vaccini”.

A questo dibattito dovremmo partecipare tutti, per stabilire quanto siamo disposti a investire in una cura per l’Alzheimer o la schizofrenia e quanto, invece, la ricerca di quella cura diventi essa stessa patologica e con un prezzo etico troppo alto. 

Con il contributo incondizionato di

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