Uno studio clinico di Fase I su una CAR-T “universale”, prodotta grazie alle tecniche di editing genomico, potrebbe condurre a nuove forme di trattamento per la leucemia linfoblastica acuta
Sfruttando la similitudine dell’iceberg si potrebbe affermare che delle terapie a base di cellule CAR-T si conosce solo la superficie emersa mentre rimane da esplorare tutta la parte sommersa, quella che non si vede ma è indispensabile per avere un’idea delle reali dimensioni dell’iceberg. Le potenzialità ancora inesplorate di questa nuova forma di terapia, che sta rivoluzionando l’approccio alle patologie onco-ematologiche, sono chiaramente la parte sommersa. In tal senso, un recente articolo pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine anticipa una possibile futura traiettoria di sviluppo delle CAR-T che potrebbero essere prodotte più facilmente e con costi più bassi grazie alle tecniche di editing genomico. Vantaggi grazie a cui, con il conforto dei dati di efficacia e sicurezza, esse troverebbero più facile collocazione in più anticipate linee di trattamento.
Occorre però procedere con cautela e non accelerare troppo: oggi le CAR-T rappresentano una terapia standard per la leucemia linfoblastica acuta a cellule B pediatrica (B-ALL) ma il processo produttivo comincia con le cellule prelevate dal malato, le quali vengono modificate geneticamente e, infine, ad esso restituite. È una terapia autologa, ovvero destinata alla persona da cui sono stati prelevati i linfociti T da ingegnerizzare, ma questa “personalizzazione” implica tempistiche di produzione allungate. Pertanto, i ricercatori di tutto il mondo sono al lavoro per ottimizzare questa complessa terapia, ottenendo delle CAR-T “universali”, adatte a tutti e che, in prospettiva, potrebbero trovare sbocco anche contro le malattie autoimmuni e altre patologie.
In Italia si sta lavorando in questa direzione grazie alla ricerca sulle CARCIK svolta nei laboratori della Fondazione Tettamanti di Monza. E l’eccellenza del nostro Paese è presente anche nel lavoro pubblicato sulle pagine di Science Translational Medicine, dal momento che è italiano il nome del primo autore - Giuseppe Ottaviano, ricercatore presso l’UCL Great Ormond Street Institute of Child Health di Londra - dell’articolo dedicato al processo di ingegnerizzazione delle CAR-T che vede come protagonista CRISPR. Il lavoro descrive uno studio clinico di Fase I progettato per valutare la sicurezza delle cellule T denominate TT52CAR19, ovvero CAR-T allogeniche create grazie al sistema di editing Crispr-Cas9.
Utilizzando un opportuno vettore lentivirale, i ricercatori sono riusciti a introdurre nelle cellule T, prelevate da donatori sani, gli strumenti molecolari per silenziare il gene TRAC e rimuovere quello codificante per l’antigene CD52. Questa manipolazione genetica conferisce alle cellule un vantaggio di sopravvivenza in presenza dell’anticorpo alemtuzumab, riducendo il rischio di insorgenza della malattia da trapianto contro l’ospite (GvHD). Le cellule così ottenute sono state crioconservate e utilizzate nell’ambito del protocollo clinico di Fase I condotto su sei bambini affetti da leucemia linfoblastica acuta a cellule B, refrattaria ai trattamenti standard. L’idea di ricorrere all’editing genomico per produrre CAR-T sempre più smart non è nuova - ne avevamo già scritto qui e qui, in quest’ultimo caso la tecnica di editing utilizzata è TALEN e non CRISPR – e ciò dimostra, ancora una volta, l’impatto di questa tecnologia di manipolazione del DNA nel campo dell’innovazione terapeutica.
Generalmente, nei bambini di età inferiore a 15 anni un tumore su tre è rappresentato da leucemie e la gran parte di esse deriva da una linea cellulare linfoide. La leucemia linfoblastica acuta a cellule B si affronta alternando regimi di induzione, mantenimento e consolidazione composti da un mix di farmaci chemioterapici che in oltre il 90% dei casi conducono a remissione. Purtroppo, alcune forme di malattia sono resistenti al trattamento e possono dar luogo a recidive: prima tali recidive compaiono e peggiore è la prognosi. I bambini arruolati nel trial clinico, e di cui si parla nell’articolo, sono stati sottoposti alla terapia di linfodeplezione - che comprendeva tra gli altri anche alemtuzumab - e poi all’infusione delle cellule CAR-T “allogeniche”. In 4 pazienti su 6, le CAR-T sono riuscite ad espandersi ed attecchire bene, consentendo successivamente di effettuare il trapianto allogenico di midollo osseo da donatore. Ciò può garantire maggior probabilità di una remissione a lungo termine duratura.
Due dei bambini trattati hanno sviluppato una sindrome da rilascio delle citochine e in un caso si è generata una reazione di neurotossicità transitoria. Si tratta di eventi avversi che, solitamente, sono associati al trattamento con le CAR-T e che il personale medico ha prontamente affrontato e risolto. Gli obiettivi di sicurezza della terapia TT52CAR19 sono stati, dunque, raggiunti ma il percorso è solo all’inizio. Lo studio pubblicato su Science Translational Medicine fornisce una classica dimostrazione della fattibilità della procedura, confermando il livello di sicurezza e il potenziale terapeutico dell’immunoterapia ottenuta grazie a CRISPR, ma saranno necessarie ulteriori e più estese prove di efficacia prima che questa terapia avanzata possa sbarcare sul mercato.
L’esplorazione della parte sommersa delle CAR-T è iniziata e le potenzialità terapeutiche che da essa possono emergere fanno guardare con crescente ottimismo al futuro delle CAR-T.