Cellule staminali

Offrono opportunità senza precedenti, ma alcune caratteristiche ne limitano l’uso: il punto di vista di Shinya Yamanaka, Premio Nobel nel 2012 per la scoperta delle iPSC

Terapie cellulari contro malattie e lesioni non trattabili con metodi standard: le cellule staminali embrionali (CSE) e le cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) sono utilizzate negli studi clinici già da diversi anni, ma si continuano a riscontrare limitazioni all’applicazione pratica. Tra queste, alcune caratteristiche intrinseche: tumorigenicità, immunogenicità ed eterogeneità. Shinya Yamanaka - direttore del Center for iPS Cell Research and Application e professore presso l’Institute for Frontier Medical Sciences (Kyoto University), ex presidente dell’International Society for Stem Cell Research (ISSCR) e Premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 2012 per la scoperta delle iPSC – descrive su Cell Stem Cell 20 anni di ricerche nel settore, con una riflessione sulle problematiche dell’utilizzo delle CSE e delle iPSC.

Le staminali sono quelle cellule che hanno la capacità unica di autorinnovarsi e di differenziarsi in una vasta gamma di cellule più specializzate che costituiscono il nostro corpo. Le staminali sono responsabili, durante la crescita e lo sviluppo dell’organismo, di mantenere l'omeostasi e di sostenere la rigenerazione dei tessuti. Ma, a differenza di quello che molti pensano, non tutte le staminali sono uguali: ci sono le cellule staminali embrionali (CSE) e le cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) che sono pluripotenti, cioè proliferano all’infinito e si possono differenziare in tutte le tipologie di cellule, e ci sono le cellule staminali adulte o somatiche che hanno una potenzialità ben più limitata perché sono già un po’ specializzate e possono differenziarsi solo in alcuni specifici tipi di cellule (ad esempio le staminali del tessuto muscolare o quelle della pelle). La proprietà rigenerativa che ha da sempre affascinato i ricercatori di tutto il mondo, specialmente quando si pensa ad un possibile uso clinico, è quella delle CSE e delle iPSC.

LE STAMINALI PLURIPOTENTI

Le CSE umane (hCSE) sono state riportate in letteratura per la prima volta nel 1998, diciassette anni dopo la generazione di CSE di topo. Da allora, sono state studiate applicazioni per varie malattie e lesioni, come la lesione del midollo spinale, la degenerazione maculare dovuta all'età e il diabete di tipo 1. Per quanto riguarda l'uso clinico, si sono presentate due preoccupazioni: le questioni etiche riguardanti l'uso di embrioni umani e il rigetto immunitario dopo il trapianto. Per superare questi problemi, più gruppi di ricerca hanno cercato di generare le staminali pluripotenti direttamente dalle cellule somatiche di un paziente.

Questo filone di ricerca ha portato alle iPSC, che sono state generate per la prima volta nel 2006 partendo da cellule di topo e, successivamente, nel 2007 da cellule umane, dando luogo appunto alle cellule staminali pluripotenti indotte umane (hiPSC). Questa importante scoperta, che ha segnato la storia della terapia cellulare, è stata effettuata dal team di ricerca dell’Università di Kyoto guidato dal prof. Yamanaka e per cui lo scienziato giapponese è stato insignito del Premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 2012. Il passaggio da modello murino alle iPSC umane è stato realizzato nel giro di un anno grazie alle conoscenze accumulate dalla ricerca sulle hCSE. Da allora si sono susseguiti molteplici studi e sperimentazioni cliniche per cercare di sviluppare terapie avanzate a base di iPSC per diverse patologie. Tuttavia, sono molte le sfide ancora da affrontare per portare questa innovazione biomedica ai pazienti e Yamanaka si è concentrato sulle tre principali: tumorigenicità, immunogenicità ed eterogeneità.

TUMORIGENICITÀ

Una delle caratteristiche più vantaggiose delle staminali pluripotenti è il loro potenziale di proliferazione infinita, grazie al quale si possono “preparare” quantità elevatissime di cellule in laboratorio. Questo pone però anche un problema perché questa caratteristica può essere un’arma a doppio taglio: se le cellule continuano a proliferare anche dopo il trapianto, si possono originare tumori. Sono tre gli scenari possibili: se rimangono delle cellule non differenziate o ancora immature nel prodotto cellulare finale, queste possono provocare l’insorgere di teratomi o tumori; se i fattori di riprogrammazione rimangono attivi, possono favorire lo sviluppo di tumori; si possono verificare mutazioni genetiche in vitro, nelle cellule in fase di lavorazione, e questo può causare problemi legati alla tumorigenicità.

IMMUNOGENICITÀ

Il rigetto immunitario è un altro problema critico nella terapia cellulare. Le iPSCs create dalle cellule dei pazienti stessi forniscono un'opportunità senza precedenti, ma il problema immunogenico resta perché dal punto di vista pratico è una procedura più complessa. Ad oggi, il trapianto allogenico (con cellule da donatore) è ancora preferito rispetto alle modalità autologhe per diversi motivi: costi, produzione e, spesso, tempo. Infatti, nel caso di condizioni gravi e acute, tra cui l'insufficienza cardiaca e lesione del midollo spinale, i tempi per la produzione di prodotti cellulari autologhi non sarebbero favorevoli per un trattamento tempestivo e di successo. Tradizionalmente, il rigetto negli allotrapianti è stato superato grazie all’uso di immunosoppressori, anche se restano alcune note dolenti. Nel trapianto di organi, infatti, i pazienti hanno bisogno di un'immunosoppressione che duri tutta la vita e, nonostante i progressi nella progettazione delle terapie farmacologiche, i pazienti possono ancora andare incontro a gravi effetti collaterali.

ETEROGENEITÀ

Tutte le cellule staminali pluripotenti condividono le stesse due proprietà: pluripotenza e capacità di proliferazione. Tuttavia, ogni linea cellulare è diversa: non ce n’è una identica ad un'altra. Ciascuna ha caratteristiche diverse per morfologia, curva di crescita, espressione genica e propensione a differenziarsi in vari lignaggi cellulari. Questa eterogeneità è un ostacolo per le applicazioni a valle, comprese le terapie cellulari, perché complica il processo di “produzione”.

Terapie cellulari per diverse malattie e lesioni hanno già raggiunto o stanno per raggiungere la sperimentazione clinica – tra cui la retinite pigmentosa, la degenerazione maculare, le lesioni spinali, le malattie cardiache, il diabete di tipo 1, la malattia di Parkinson, i tumori - e ci sono alcune tecnologie all’avanguardia che permettono di trovare strade alternative per sperimentare e scoprire sempre di più su queste cellule, ad esempio gli organ-on-a-chip.

Il potenziale delle cellule staminali pluripotenti umane è enorme e le terapie che si basano, e si baseranno, su queste cellule potranno portare una valida opzione ai pazienti di tutto il mondo. Ma si tratta di un ambito molto vasto e variegato, noto per essere purtroppo anche minato da false speranze a base di terapie scientificamente non validate, che ha ancora bisogno di nuove conoscenze scientifiche di base e di molti studi clinici di conferma.

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