Dalla ricerca in laboratorio alla sperimentazione clinica, passando dalla produzione. Questa è la storia (tutta italiana) di come nasce una terapia avanzata
Un tumore aggressivo per il quale non esiste ancora un trattamento efficace e una terapia genica, originata da un filone di ricerca italiano, che grazie all’accordo tra due realtà - AGC Biologics e Genenta Science - sta procedendo nel suo cammino di sviluppo. Sono questi i protagonisti di una storia “made in Italy”, pervasa dall’intenso desiderio di bucare la coltre di nuvole scure che grava su parte dell’imprenditoria italiana, dando una nuova speranza alle persone affette da glioblastoma multiforme per cui oggi non sono disponibili cure risolutive. La raccontano all’Osservatorio Terapie Avanzate Luca Alberici e Sabrina Cazzaniga, rispettivamente CEO e Direttore GMP Manufacturing e Qualified Person di AGC Biologics, insieme a Pierluigi Paracchi, co-fondatore e CEO di Genenta.
PROGETTARE UNA TERAPIA CONTRO IL GLIOBLASTOMA MULTIFORME
La sfida che i ricercatori italiani hanno raccolto è stata tutt’altro che semplice perché il glioblastoma multiforme è un tumore primitivo del cervello che, come una farfalla, abbraccia gli emisferi cerebrali, diffondendosi alla sostanza bianca e penetrando sino ai ventricoli cerebrali. È un cancro maligno che costringe i medici ad intervenire - laddove possibile - tramite la chirurgia, spesso abbinandola a radio- e chemioterapia. La profondità degli interventi chirurgici necessari per rimuovere le masse cerebrali e i bassi tassi di sopravvivenza dei malati bastano a far intendere la pericolosità di questo tumore per cui non sono ancora disponibili trattamenti mirati.
Negli anni, il mondo della ricerca si è molto prodigato, prima puntando sull’utilizzo di sostanze radiosensibilizzanti, poi sui protocolli immunoterapici e sulla terapia genica, come quella elaborata dal gruppo di ricerca guidato dal prof. Luigi Naldini, direttore dell’Istituto Telethon San Raffaele per la Terapia Genica (SR-Tiget) di Milano. “Le ricerche condotte dal prof. Naldini e dalla sua équipe e la collaborazione con Glaxo-Smith-Kline (GSK), Orchard Therapeutics e AGC Biologics hanno già portato all’introduzione sul mercato di Strimvelis, la prima terapia genica ex vivo approvata per l’ADA-SCID e, successivamente, di Libmeldy per la leucodistrofia metacromatica”, afferma Pierluigi Paracchi. “Esser giunti per primi a livello mondiale ad una terapia così innovativa, precedendo la concorrenza degli altri Paesi, offre la conferma del valore insito nel mettere a sistema l’operato di ricercatori, medici, esperti della manifattura e dei percorsi regolatori italiani. Su quella spinta e sulla volontà di estendere alla lotta contro i tumori la stessa tecnologia ex vivo basata su vettori lentivirali, nel 2014, è stata fondata Genenta”.
SVILUPPARE UNA TERAPIA GENICA
Genenta è una biotech - l’unica italiana quotata al Nasdaq (GNTA) - nata come spin-off dell’Ospedale San Raffaele di Milano con l’obiettivo di sviluppare terapie avanzate contro i tumori solidi. La piattaforma su cui Pierluigi Paracchi e gli altri fondatori della società - tra cui lo stesso prof. Naldini - hanno deciso di scommettere aveva restituito ottimi risultati a livello preclinico nella lotta a diverse tipologie di tumori ed era basata sulla possibilità di ingegnerizzare le cellule staminali ematopoietiche del paziente in modo tale da far esprimere a specifici macrofagi infiltranti il tumore il gene terapeutico dell’interferone alfa: questo consente di usarli come cavallo di Troia per penetrare le difese del tumore, riattivando contro di esso il sistema immunitario. Si tratta di un filone di ricerca particolarmente interessante da cui possono giungere soluzioni con cui superare le difficoltà finora incontrate dalle terapie a base di cellule CAR-T nell’approccio all’oncologia solida, costituendo una valida opzione non solo contro il glioblastoma ma anche contro altre tipologie di tumore.
Questo ambizioso progetto si è concretizzato in Temferon, una terapia attualmente testata in uno studio clinico di Fase I/II. “Siamo arrivati a trattare già 18 pazienti affetti da glioblastoma multiforme e contiamo di completare entro quest’anno la prima parte dello studio di Fase I/II”, spiega Paracchi. “I progressi registrati sono stati un incentivo in più per predisporre la Fase II del processo, che puntiamo ad avviare con un significativo investimento in termini produttivi”.
IL PASSAGGIO DALLA RICERCA ALLA PRODUZIONE
L’intensificazione del processo produttivo ha richiesto un nuovo genere di collaborazione, sfociato nell’accordo con AGC Biologics, una CDMO (Contract Development and Manufacturing Organization), cioè un’azienda che produce farmaci per conto di aziende multinazionali farmaceutiche. “La nostra trentennale esperienza nello sviluppo di terapie avanzate è derivata da quella di MolMed, l’azienda fondata da Claudio Bordignon, poi riconvertita in CDMO ed entrata a far parte di AGC Biologics”, spiega Luca Alberici. “Costituiamo quindi un centro di eccellenza per le terapie geniche e cellulari dal momento che abbiamo già portato alla commercializzazione terapie come Strimvelis e Libmeldy e abbiamo una solida conoscenza di come progettare, realizzare e utilizzare i vettori virali necessari per la modifica delle cellule staminali”.
AGC Biologics rappresentava dunque l’interlocutore perfetto per Genenta che, nel 2016, ha stretto un primo accordo per lo sviluppo di vettori virali e di cellule staminali ematopoietiche ingegnerizzate. In una fase successiva, è stato stipulato un accordo di produzione quando AGC Biologics ha fornito vettori e cellule geneticamente modificate per l’avvio della Fase I di studio. “Abbiamo offerto i nostri servizi per la totalità del segmento che va dall’ottimizzazione dei processi produttivi, alla produzione in GMP dei farmaci, fino al rilascio e al supporto regolatorio”, prosegue Alberici. “L’unica sfera di competenza che rimane in capo allo sponsor è la gestione dello studio clinico”. Il nuovo accordo, di cui si è parlato in questi giorni su varie testate giornalistiche di settore, costituisce un allargamento di quello già in essere perché, con l’aumento della popolazione di pazienti, si è resa necessaria una definizione dei processi produttivi su più ampia scala.
UNA PRODUZIONE TUTTA ITALIANA
Quanto finora descritto nasce e si sviluppa in Italia: dalla ricerca in laboratorio sino all’individuazione dei centri clinici e alla produzione vera e propria, ogni passaggio è stato svolto nel nostro Paese, offrendo un esempio virtuoso di come ogni tappa del cammino di una terapia innovativa verso il letto del malato possa essere realizzata a livello nazionale. “Un passaggio cruciale per non interrompere tale percorso è stato quello del trasferimento delle informazioni precliniche presso la nostra unità di sviluppo”, precisa Sabrina Cazzaniga. “Perciò, insieme al team di Genenta, abbiamo messo a punto gli step di processo e stabilito i parametri necessari per il trasferimento in GMP”. Quest’ultimo rappresenta uno stadio di lavoro molto delicato che racchiude in sé parecchi elementi critici. “Il primo è dato dall’applicazione della regolamentazione propria del mondo delle produzioni sterili a un processo che non ha alcuna possibilità di sterilizzazione finale (essendo prodotte a partire da cellule, le terapie cellulari e geniche non possono essere completamente sterili, n.d.r.). Pertanto, dalle caratteristiche dei materiali di partenza, ai reagenti, fino alle condizioni ambientali, ogni passaggio deve esser puntualizzato per garantire il massimo della sterilità in ogni momento”, afferma Cazzaniga. “Una ulteriore criticità è relativa alla formazione degli operatori coinvolti. Non basta applicare le regole ma occorre generare consapevolezza di ogni singolo passaggio così da individuare le possibili criticità”.
La fase di trasferimento del processo va gestita “a quattro mani”, coinvolgendo chi si è occupato dello sviluppo e chi sarà coinvolto in quella della produzione, perciò risulta essenziale - specie per le terapie avanzate - disporre di strumentazione della massima qualità da impiegare nei processi di produzione. “Si parla di materiali e reagenti non comunemente utilizzati nelle officine produttive e non è semplice individuare fornitori capaci di garantire il livello qualitativo richiesto. Questo concorre alle alte spese necessarie per questa fase”, conclude Cazzaniga. “Infine, per questioni etiche, nelle fasi di sviluppo e trasferimento del processo non si possono usare le cellule dei pazienti ma solo quelle di donatori, imponendo di considerare con estrema attenzione le potenziali differenze e analizzarle nel contesto di una successiva applicazione del procedimento alle cellule del paziente”.
La produzione rappresenta pertanto l’anello di congiunzione tra gli studi condotti in laboratorio, con test su modelli in vitro, e la sperimentazione nell’uomo che consente di dimostrare la sicurezza e l’efficacia di un farmaco. Essa è un approdo articolato e impegnativo ma non impossibile da condurre a compimento, a patto di poter instaurare rapporti di collaborazione proficui tra tutte le parti interessate. Infine, la possibilità di sviluppare e produrre una terapia avanzata all’interno di una filiera italiana permette ai pazienti un accesso più rapido all’innovazione. Così una terapia genica “made in Italy” destinata a contrastare i tumori solidi (quale è Temferon) assume lo stesso significato della Ferrari, simbolo dell’eccellenza italiana nel mondo, che da sempre concorre con le più grandi case automobilistiche mondiali nel Circus della Formula 1. Ed è testimonianza concreta della possibilità di superare ogni aspettativa.