Valentina Vavassori

Al SR-Tiget di Milano i ricercatori lavorano per tradurre in clinica i successi ottenuti dal sistema di editing genomico in uno studio preclinico. Ce lo racconta la dott.ssa Valentina Vavassori

Oggigiorno nessun personal computer privo di un buon programma antivirus può ragionevolmente ritenersi al sicuro da un possibile attacco informatico. È sufficiente un “malware” per bloccare un computer e magari permettere a un hacker di intrufolarvisi e sottrarne i dati. Analogamente, se una o più componenti del sistema immunitario presentano difetti a carico dei geni che ne regolano l’espressione o la differenziazione, il nostro organismo risulta maggiormente esposto all’attacco dei patogeni. Questo è ciò che accade in certe immunodeficienze ma per fortuna gli scienziati stanno lavorando a un “antivirus grazie alle tecniche di editing genomico.

Associare il sistema Crispr-Cas9 al concetto di antivirus viene quasi automaticamente visto che le celebri forbici molecolari traggono origine proprio dalla scoperta delle sequenze CRISPR con cui alcuni batteri riescono a proteggersi dall’attacco dei virus. Lo studio italiano - pubblicato a gennaio sulla rivista EMBO Molecular Medicine e condotto da un gruppo di ricercatori guidati dal prof. Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) di Milano, e dal prof. Pietro Genovese, capo progetto nel gruppo di Naldini – mostra che Cripsr-Cas9 è in grado di correggere il difetto genetico associato alla sindrome da immunodeficienza con iper-IgM a trasmissione X recessiva (X-HIGM). Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Valentina Vavassori, PostDoc al SR-Tiget e prima firmataria dello studio insieme alla dott.ssa Elisabetta Mercuri.

COS'È LA X-HIGM

Le immunodeficienze con iper-IgM sono un gruppo di malattie genetiche molto rare caratterizzate da un importante malfunzionamento del sistema immunitario e ad una produzione inadeguata della maggior parte dei tipi di anticorpi (o immunoglobuline). Questo provoca un'aumentata suscettibilità a infezioni batteriche severe e ricorrenti, infezioni da parte di patogeni opportunisti e da vari tipi di virus, oltre che da un aumentato rischio di sviluppare tumori e malattie autoimmuni. Con l’acronimo X-HIGM si fa riferimento ad una specifica immunodeficienza iper-IgM che è a trasmissione X recessiva, ovvero si manifesta nei maschi mentre le femmine sono portatrici sane. La patologia è causata da mutazioni a danno del gene TNFSF5, che si trova appunto sul cromosoma X, che codifica per la proteina CD40 ligando (CD40L), espressa sulla superficie dei linfociti T CD4 positivi (CD4+).

“Il principale compito del CD40L è mettere in comunicazione i linfociti T con altre componenti del sistema immunitario, in particolare i linfociti B”, spiega Valentina Vavassori. “L’interazione tra CD40 e CD40L permette di innescare una serie di processi molecolari che portano alla produzione da parte dei linfociti B di IgG oltre che IgM (è il cosiddetto switching anticorpale che porta alla produzione di anticorpi più potenti, n.d.r.). Inoltre, questo tipo di interazione permette ai linfociti B di creare centri germinativi e, quindi, di stimolare la formazione delle cellule della memoria. Infine, il legame CD40-CD40L consente anche ad un altra componente del sistema immunitario, i macrofagi, di produrre le citochine le quali, insieme allo switching anticorpale, risultano utili a combattere alcuni tipi di infezione”. Un deficit immunitario ad ognuno di questi livelli mette i malati a maggior rischio di contrarre infezioni opportunistiche, sia batteriche che virali, da cui, in condizioni normali, sarebbero protetti. Organismi come Cryptosporidium, Pneumocystis jirovecii e altri si trasformano in una seria minaccia per la salute di questi pazienti, i quali hanno anche maggiore probabilità di sviluppare patologie autoimmuni e cancro. Per comprendere la gravità della X-HIGM basta ricordare che la speranza di vita dei malati solitamente non va oltre i 30 anni.

La gestione della patologia si realizza con la supplementazione di immunoglobuline e le profilassi antibiotiche e antifungine qualora il paziente presenti infezioni ma, in entrambi i casi, si parla di un trattamento e non di una cura. “Molti pazienti affrontano infezioni ricorrenti o opportuniste anche se sono in trattamento, pertanto l’unica soluzione a lungo termine è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche da midollo o cordone ombelicale di un donatore HLA-compatibile, una procedura non esente da rischi, specie in un individuo colpito da un’infezione con risvolti negativi in termini di danno d’organo”, prosegue Vavassori. “È stato, infatti, dimostrato che la presenza di infezione e il danno d’organo diminuiscono la sopravvivenza dopo il trapianto, rendendo la situazione spesso critica”.

PERCHÈ L’EDITING GENOMICO E NON LA TERAPIA GENICA

La scelta di puntare su Crispr-Cas9, anziché sulla terapia genica “convenzionale” che sfrutta vettori virali per introdurre una nuova copia funzionale del gene mutato, è legata sostanzialmente alla complessità di questo gene. “Negli anni passati due studi, apparsi rispettivamente sulle riviste Nature Medicine e Cancer Gene Therapy, hanno guardato alla possibilità di ricorrere alla terapia genica con vettori virali integranti nel genoma”, spiega Vavassori. “Tuttavia, gli esemplari dei modelli murini le cui cellule staminali ematopoietiche sono state modificate con tali vettori virali avevano sviluppato linfoproliferazioni e linfomi. Lo stesso è accaduto quando si è scelto un promotore costitutivo che esprimesse CD40L solo nei linfociti T. Anche in quel caso nei topi erano insorte linfoproliferazioni e linfomi. Tutto ciò ha portato a capire che il gene che codifica per CD40L necessita di una regolazione molto fine e ha bisogno della presenza del suo promotore e della sua specifica regione regolatoria”. Per questo il gruppo di ricercatori del SR-Tiget ha deciso di sfruttare le potenzialità di Crispr-Cas9, quale approccio di manipolazione genetica per questa patologia.

“Il fatto che i pazienti colpiti da X-HIGM abbiano un numero normale di linfociti T ci ha spinti a pensare di applicare la strategia dell’editing del genoma non solo alle cellule staminali ematopoietiche ma anche a livello delle cellule T”, afferma l’esperta milanese. “Sappiamo, infatti, che CD40L è espresso ed esercita la sua funzione principalmente nei linfociti T CD4+, nonostante sia presente anche in una frazione dei linfociti CD8, nelle cellule NK e nelle piastrine. Poiché il linfocita T è una cellula già ben differenziata, garantisce di per sé un maggiore profilo di sicurezza dopo modifica genetica rispetto alla cellula staminale. Da precedenti studi sulla terapia genica abbiamo appreso che, in seguito a trapianto, i linfociti T possono permanere in circolo fino a 15-20 anni nel paziente per cui ci siamo focalizzati sul ripristino della funzione originale di CD40L in questo tipo di cellule”.

I RISULTATI E LE PROSPETTIVE FUTURE

In pratica, i ricercatori hanno prelevato i linfociti T dei pazienti e, grazie alle potenzialità del sistema Crispr-Cas9, sono riusciti a tagliare il DNA in un punto preciso del gene difettoso e a sostituirne la sequenza con quella corretta. Il sistema permette di correggere circa il 95% delle mutazioni responsabili della malattia. La sperimentazione è stata condotta sia su cellule di pazienti che su modelli animali della malattia: è stato osservato che si ottiene il ripristino della produzione di anticorpi e, nei topi, la protezione nei confronti di un’infezione clinicamente rilevante.  “Questo ci consente di descrivere due possibili scenari di applicazione”, precisa Vavassori. “Nel primo, questa terapia ha una validità intrinseca, perché i linfociti così corretti consentirebbero al paziente di sviluppare una specifica risposta al patogeno. Nel secondo, essa può trovare impiego come terapia ponte fino al trapianto di cellule staminali ematopoietiche”.

Lo studio ha gettato solide basi per lo sviluppo di una terapia contro la X-HIGM e, al momento, i ricercatori stanno lavorando sul protocollo incentrato sull’editing dei linfociti T per aggiornarlo e renderlo compatibile con un’applicazione clinica. Tutto ciò grazie alla collaborazione con Genspire, una spin-off del SR-Tiget che sta raccogliendo i finanziamenti necessari allo sviluppo clinico della metodica. “La X-HIGM è una malattia molto peculiare”, conclude Vavassori. “Per tale ragione continuiamo a lavorare con l’editing genomico in parallelo anche sulle cellule staminali ematopoietiche, strategia che potrà successivamente trovare applicazione nella lotta ad altre immunodeficienze e ad altre patologie”.

 

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