La terapia sperimentale è ideata per produrre l’alfa-L-iduronidasi (IDUA), enzima mancante nei pazienti con mucopolisaccaridosi di tipo 1, ed è in valutazione con uno studio clinico di Fase I
La cellula è la struttura di base della vita. L’affermazione di tale concetto ha permesso agli studiosi di biologia cellulare e molecolare di compiere balzi da gigante nella comprensione degli organismi giungendo a padroneggiare le tecniche di manipolazione degli stessi. Così l’ingegneria genetica ha fatto da locomotrice agli studi sulla cellula portando alla nascita di terapie cellulari come quelle messe a punto dalla biotech statunitense Immusoft, che ha l’obiettivo di trasformare le cellule immunitarie in piccole “biofabbriche” in grado di sfornare molecole ed enzimi terapeutici. In questo senso la cellula diventa essa stessa la terapia per malattie causate dalla carenza o dall’assenza di specifiche proteine. Ora questa strategia approda per la prima volta alla sperimentazione clinica: l’obiettivo è la mucopolisaccaridosi di tipo I (MPS I).
Alla fine del 2023, Immusoft - una società di biotecnologie statunitense - ha rilasciato un comunicato stampa per annunciare la prima somministrazione al mondo di cellule B geneticamente ingegnerizzate in un paziente. Si tratta della terapia sperimentale ISP-001, la cui sicurezza e tollerabilità è attualmente in valutazione con uno piccolo (è previsto l’arruolamento di solo due pazienti) studio clinico di Fase I presso l’M Health Fairview University of Minnesota Medical Center (Stati Uniti).
Ma quale è il vantaggio di una terapia di questo genere rispetto alle altre terapie avanzate? Per capirlo occorre analizzare più nel dettaglio la piattaforma tecnologica Immune System Programming (ISP™), sviluppata da Immunosoft al fine di modificare le cellule della linea B e utilizzarle per la produzione di specifiche molecole in chiave terapeutica. ISP™ è un programma in più fasi che comincia con la raccolta dal paziente delle cellule B, le quali vengono poi selezionate e indotte al differenziamento. Normalmente le cellule B, se stimolate ad hoc, possono trasformarsi in plasmacellule, ovvero cellule immunitarie che secernono grandi quantità qdi anticorpi. Sfruttando queste potenzialità intrinseche, i ricercatori hanno imparato a trasferire al loro interno un gene specifico per ottenere la produzione di una proteina ben precisa.
La mucopolisaccaridosi di tipo 1 è una rara malattia multisistemica causata dalla carenza dell’enzima alfa-L-iduronidasi (IDUA), necessario per scomporre gli zuccheri a lunga catena all’interno delle cellule. I pazienti affetti da MPS I presentano un graduale e tossico accumulo di glicosaminoglicani (GAG) negli organi e a livello di vari tessuti. Da qui l’idea di ricorrere ad un approccio come quello basato sulla piattaforma ISP™: modificare le cellule B dei pazienti in maniera tale da renderle delle microscopiche, ma operose, officine produttive in grado di mettere in circolo l’enzima mancante (IDUA). La strategia parte da un semplice prelievo di cellule dal paziente che ritornano al paziente stesso dopo esser state ingegnerizzate e riconvertite a produrre ciò di cui l’organismo ha più bisogno.
Quest’ultimo passaggio richiama alla memoria il processo con cui nascono le terapie a base di cellule CAR-T ma, sebbene alcune parti del procedimento possano risultare simili - perlomeno in termini concettuali - tra i due approcci sussistono parecchie differenze. Innanzitutto, le CAR-T sono trattamenti basati sull’utilizzo di vettori virali all’interno dei quali vengono poste le “istruzioni” per far esprimere ai linfociti T l’antigene di sintesi CAR, che permette loro di aggredire le cellule neoplastiche. Pertanto, le CAR-T si posizionano al crocevia tra terapia genica e cellulare (anche se a livello di classificazione europea sono considerate delle vere e proprie terapie geniche). Ciò significa che è alquanto difficile pensare a una seconda somministrazione di CAR-T dal momento che il sistema immunitario registra il vettore virale usato la prima volta e, in caso di seconda somministrazione, potrebbe scatenare una risposta con gravi conseguenze per tutto l’organismo (è questo il motivo per cui pazienti con infezioni da HBV, HCV o HIV e coloro che stiano assumendo terapie immunosoppressive possono essere esclusi dai protocolli clinici con CAR-T). Questo comporta il fatto che la dose delle CAR-T deve essere estremamente precisa e l’effetto da esse suscitato non deve diminuire nel tempo. Al contrario delle CAR-T, l’approccio ISP™ di Immunosoft non prevede una somministrazione del trattamento tramite vettori virali e potrebbe prevedere l’erogazione di più dosi. Infine - aspetto non affatto secondario - la piattaforma di Immunosoft non richiede di somministrare al paziente una chemioterapia mieloablativa precondizionante per ripulire le nicchie immunitarie e far posto alle nuove cellule da trapiantare. Questa procedura - che precede invece l’infusione delle CAR-T - può suscitare nel paziente effetti avversi tossici che, nel caso della strategia di Immunosoft possono essere risparmiati.
“Gli interventi attualmente disponibili per la MPS I non hanno carattere curativo e non affrontano adeguatamente svariate gravi complicazioni legate alla malattia”, spiega Paul Orchard, professore della Divisione Trapianti di sangue e midollo e Terapia cellulare pediatrica presso la Scuola di Medicina dell’Università del Minnesota e principal investigator dello studio clinico su ISP-001. “Una metodologia non virale per l’ingegnerizzazione delle cellule, come ISP-001, che non richieda un regime di condizionamento mieloablativo, potrebbe essere di enorme vantaggio per i pazienti affetti da patologie rare. Esiste, infatti, una chiara esigenza non soddisfatta di fornire a queste persone soluzioni terapeutiche più sicure ed efficaci”.
In definitiva l’approccio ISP™ è stato progettato per consentire la riprogrammazione delle cellule B di un paziente, in maniera tale da garantire un rifornimento costante e continuo delle proteine terapeutiche necessarie, riducendo la necessità di frequenti somministrazioni di enzimi (ad esempio, la terapia con enzimi ricombinanti) e migliorando così l’esito finale del trattamento. ISP-001 ha ottenuto dalla Food and Drug Administration (FDA) la designazione di farmaco orfano per malattia pediatrica rara. Si tratta di un bel riconoscimento per la terapia della biotech statunitense, finanziata tra gli altri da Tim Draper, precedentemente sostenitore di aziende come Hotmail e SpaceX.
La strada verso le fasi di sperimentazione clinica non è stata semplice ma, anche grazie all’accordo economico stretto con Takeda, il team di Immunosoft ha potuto proseguire le proprie attività fino alla prima somministrazione in un paziente affetto da MPS I. “Questo risultato rappresenta un’importante pietra miliare per i pazienti affetti da MPS I, che hanno un bisogno significativo di nuove opzioni terapeutiche”, afferma Sean Ainsworth, CEO di Immusoft. “Questo è anche il primo paziente al mondo a ricevere una terapia a base di cellule B ingegnerizzate, un risultato importante per Immusoft e un grande progresso nella terapia cellulare e genica”.