Due trattamenti sperimentali per le malattie cardiovascolari sono stati testati nelle scimmie. L’annuncio all’annual meeting dell’International Society for Stem Cell Research
I dati sono ancora preliminari ma la notizia, diffusa a fine giugno, ha già suscitato interesse per almeno un paio di motivi. Numero uno: per quanto è dato sapere, si tratta delle prime sperimentazioni in cui il cosiddetto “base editing” dimostra di funzionare su primati non-umani. Questa variante della tecnica CRISPR promette di ridurre le probabilità di effetti indesiderati perché corregge il DNA senza tagliarlo. Numero due: finora l’editing si era occupato per lo più di malattie rare, mentre qui prova a sventare delle cause di morte che sono tra le più comuni al mondo. Arriverà il giorno in cui basterà una singola iniezione per abbassare colesterolo e trigliceridi per tutta la vita, prevenendo ictus e infarti?
I ricercatori della società biotech Verve Therapeutics hanno preso di mira due geni che sono attivi nel fegato, disattivandoli in modo indipendente in esemplari diversi. Il primo è il gene PCSK9, che produce un enzima chiave per il metabolismo del colesterolo. Come tutti i geni, anche questo è presente in ogni cellula in due copie, che provengono una dalla mamma e una dal papà. Circa una persona su 50 nasce con almeno una copia inattiva del gene. Il risultato, secondo uno studio pubblicato nel 2006 sul New England Journal of Medicine, è una riduzione dell’88% del rischio di soffrire di malattia coronarica nel corso della vita. L’altro gene bersaglio, noto con la sigla ANGPTL3, è naturalmente disattivato in una persona su 300. Secondo una ricerca uscita nel 2010 sempre sul NEJM, quando è spento si riduce del 34% il rischio di attacco cardiaco.
La Verve, dunque, ha deciso di ricorrere all’editing per mimare queste mutazioni fortunate, naturalmente presenti in una minoranza di persone, replicando nel macaco cinomolgo ciò che era già stato fatto nel topo. Secondo quanto annunciato al meeting dell’International Society for Stem Cell Research, che quest’anno si è tenuto in modalità virtuale, quando hanno editato il PCSK9 hanno ottenuto una riduzione dell’89% dell’enzima da esso codificato. A due settimane di distanza, il colesterolo “cattivo” dei macachi, quello indicato con la sigla LDL, era sceso del 59%. Bersagliando il gene ANGPTL3, invece, sostengono di aver abbassato del 95% la sua espressione, riducendo del 64% il livello di trigliceridi.
Per evitare facili entusiasmi alcune premesse sono doverose: gli esperimenti non sono ancora stati pubblicati su una rivista “peer-reviewed”, sono stati condotti su un piccolo numero di macachi (14 animali in tutto, sette per ognuno dei due esperimenti) e il periodo di osservazione è ancora breve (un paio di settimane). Per essere certi che i trattamenti siano abbastanza sicuri e abbiano effetti duraturi nelle scimmie, bisognerà aspettare. Nella migliore delle ipotesi, dunque, passerà qualche anno prima che possa essere avviata una sperimentazione sull’uomo.
I ricercatori non hanno notato reazioni avverse nei macachi nel breve periodo, ma non hanno controllato se l’editing avesse causato mutazioni indesiderate in altri punti del genoma (mutazioni off target). Recentemente alcuni studi su embrioni umani hanno evidenziato il rischio che la variante classica di CRISPR possa causare estesi riarrangiamenti nell’area adiacente al sito bersaglio (mutazioni on target), ma questo tipo di problemi potrebbe essere meglio gestibile nelle cellule somatiche e non dovrebbe presentarsi con i “base editor” che hanno un profilo di sicurezza più affidabile.
Il base editing utilizza un RNA guida per identificare il sito da correggere, proprio come il sistema classico. La correzione però non avviene recidendo i filamenti del DNA e poi lasciando che il macchinario cellulare li saldi nuovamente apportando qualche cambiamento, ma convertendo direttamente l’identità chimica delle lettere del DNA. In pratica, se immaginiamo il sistema CRISPR come un coltellino svizzero multifunzione, è come se al posto delle forbici molecolari, possedesse una gomma e una matita per sovrascrivere le sequenze. In questi esperimenti, in particolare, l’editor e il suo RNA guida sono stati inseriti all’interno di nanoparticelle lipidiche che una volta iniettate raggiungono direttamente il fegato, uno degli organi più facili da trattare con la terapia genica.
Il Sacro Graal sarebbe riuscire a bloccare in sicurezza il gene PCSK9 in giovane età, quando le arterie sono ancora in buono stato. Ma questo approccio di prevenzione precoce è ancora fantascienza. Con terapie sperimentali come queste, l’unica via concretamente percorribile è concentrarsi sulla minoranza di pazienti che corre un grave rischio di morte prematura. Chi ha già avuto degli attacchi di cuore e continua ad avere il colesterolo alto, ha probabilità così elevate di recidive che i possibili vantaggi di un trattamento di frontiera possono giustificare gli ampi margini di incertezza. L’ipercolesterolemia familiare colpisce una persona ogni 200-500 e a molti di questi pazienti le statine non bastano. Esistono già in commercio degli inibitori del PCSK9 ma devono essere somministrati periodicamente (ogni due-quattro settimane) e sono piuttosto costosi (450 dollari al mese). Una soluzione permanente, “one shot”, sarebbe preferibile, anche considerando che il colesterolo non è un problema esclusivo della parte più ricca del mondo. Lo studio di riferimento, condotto sotta la guida dell’Imperial College di Londra, è stato pubblicato su Nature a giugno e mette insieme i dati relativi a oltre 100 milioni di persone in 200 Paesi, su un arco di tempo di quasi 40 anni. Il risultato è che i livelli di colesterolo sono in declino nei Paesi occidentali ma in crescita nelle nazioni a basso e medio reddito, soprattutto in Asia.