epi-editing

Gli ultimi risultati dell’Istituto SR-Tiget di Milano dimostrano il grande potenziale degli editor che non modificano le sequenze del DNA ma soltanto l’intensità della loro espressione 

Immaginate le manopole di uno stereo, meglio ancora le leve sul pannello di controllo di un mixer audio. Per un’esecuzione ottimale della colonna sonora alcune frequenze devono sentirsi forte, altre piano. Il lavoro che fanno i tecnici del suono assomiglia a quello degli editor dell’epigenoma, che sciolgono o stringono le spire del DNA per rendere questo o quel tratto più o meno attivo, perché più o meno accessibile al macchinario di trascrizione cellulare. Questo approccio flessibile potrebbe superare alcuni dei limiti dell’editing genetico classico, riducendo i rischi di effetti indesiderati e allargando il ventaglio delle malattie trattabili. Una speranza in questo senso viene dagli esperimenti per il controllo del colesterolo del gruppo di Angelo Lombardo, responsabile del gruppo di ricerca in Regolazione Epigenetica e Modificazione Mirata del Genoma presso l’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget), illustrati a Washington a maggio.

La presentazione fatta da Martino Cappelluti al meeting annuale dell’American Society of Gene and Cell Therapy (ASGCT) ha suscitato entusiasmo nella comunità degli specialisti, attirando l’attenzione di Science. La rivista americana ha preso spunto proprio dal lavoro dell’istituto milanese per la news intitolata “Meglio di CRISPR? Un altro modo di risolvere i problemi genetici potrebbe essere più sicuro e versatile”. Il modello standard di CRISPR, quello che usa le forbici genetiche premiate con il Nobel, sta ottenendo importanti successi nelle sperimentazioni cliniche ma ha anche qualche difetto. I tagli alla doppia elica, infatti, comportano un maggior rischio di mutazioni indesiderate rispetto agli interventi “break-free” effettuati con le varianti più evolute della tecnica. Per avere un profilo di sicurezza migliore si può puntare sull’editing di basi, che incide solo uno dei due filamenti del DNA lasciando meno cicatrici. Promette di fare persino meglio il cosiddetto “prime editing, che si basa su un meccanismo diverso ma non ha ancora debuttato nell’uomo. Con tutti questi approcci, comunque, l’intervento genetico è permanente, del tipo on-off, “o tutto o niente”, adatto alle malattie con una base genetica semplice. E se invece servisse un editing reversibile, con intensità modulabile? 

L’idea consiste nell’evitare di riscrivere le sequenze genetiche bersaglio, limitandosi invece a modificare le targhette chimiche che sono dette epigenetiche perché stanno sopra o intorno ai geni, nel senso che adornano il DNA o le proteine che lo circondano (istoni). Aggiungendo o rimuovendo questi gruppi chimici è possibile silenziare un gene o esporlo all’azione degli enzimi che lo faranno esprimere. Finora i farmaci ad azione epigenetica hanno avuto un successo limitato, perché non prendevano abbastanza bene la mira e agivano su troppi geni per volta. Gli editor basati su CRISPR però hanno il vantaggio di essere facilmente programmabili e di agire in modo sito-specifico. Disattivando le forbici della Cas9 e usando la proteina come impalcatura per altri enzimi effettori, insomma, è possibile editare l’epigenoma solo dove serve

Insieme a Luigi Naldini, Angelo Lombardo aveva già dato un contributo fondamentale nel 2016, illustrando su Cell un modello “hit and run” di editing epigenetico. I ricercatori del SR-Tiget, infatti, avevano dimostrato che è possibile metilare dei siti specifici in vitro, spegnendo la relativa porzione di cromatina, e che l’effetto persiste in modo stabile anche quando le cellule si dividono e CRISPR non c’è più. Successivamente l’idea è stata validata e ampliata sempre su Cell da un gruppo americano, che da rivale è diventato alleato, reclutando gli italiani dentro all’azienda Chroma Medicine. In pratica basta fornire alle cellule le istruzioni per costruire l’editor sotto forma di RNA messaggero, all’interno di vescicole lipidiche come quelle usate per i vaccini contro il COVID-19. L’RNA viene rapidamente degradato e l’editor in esso codificato viene prodotto per un tempo ridotto, abbassando il rischio di indurre una reazione immunitaria o interventi fuori bersaglio.

Gli ultimi progressi, annunciati al meeting di Washington, riguardano il successo dell’editing epigenetico “hit and run” nel modello animale in vivo: i ricercatori italiani hanno somministrato nei topi il loro trattamento sperimentale progettato per reprimere il gene PCSK9 che influenza i livelli di colesterolo nel sangue. Un’iniezione è bastata per ridurre in modo sostanziale il colesterolo “cattivo” per almeno sei mesi.

Tutti concordano che la tecnologia è ancora troppo acerba per essere testata sui pazienti, ma il settore è in fermento almeno per quanto riguarda gli studi preclinici. La company Sangamo Therapeutics, ad esempio, ha adattato la tecnologia delle dita di zinco per abbassare l’espressione di due proteine coinvolte rispettivamente nell’Alzheimer e nell’Huntington. Fra le indicazioni esplorate da altri gruppi ci sono una forma ereditaria di obesità, un tipo di epilessia e il controllo del dolore. Un’idea che ha fatto scalpore recentemente, infine, è quella di ricorrere all’editing epigenetico per resettare i danni dell’alcolismo.

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