La sfida del prossimo futuro sarà fondare una nuova classe di antivirali flessibili e ad ampio spettro, ispirandosi alle strategie di difesa evolute nel mondo microbico
Quando è esplosa la pandemia, nel marzo del 2020, la comunità degli specialisti dell’editing genetico si è sentita chiamata all’azione. Jennifer Doudna ha convocato una riunione a Berkeley, nel suo Innovative Genomics Institute, proponendo dieci progetti di ricerca. Il suo storico rivale Feng Zhang del Broad Institute, è stato esortato direttamente dal Consolato cinese di New York. Altri gruppi di ricerca si sono messi al lavoro, da Stanford al Georgia Institute of Technology. Oltre un anno dopo, è tempo di fare il punto sui risultati ottenuti. In aggiunta ai test diagnostici basati su CRISPR, messi a punto dalle company vicine ai due pionieri dell’editing, è in arrivo qualche nuova strategia antivirale?
Com’è noto la tecnica CRISPR si ispira a un sistema naturale usato dai batteri per difendersi dai virus invasori. L’idea di usare questa piattaforma biotech come agente antivirale a beneficio dell’uomo, dunque, rappresenta una specie di ritorno alle origini. Il primo segnale incoraggiante in questa direzione arriva nel dicembre del 2019, in era pre-pandemica, con un lavoro pubblicato su Molecular Cell dal gruppo di Zhang. Si tratta di uno studio in vitro, che esplora la possibilità di utilizzare l’enzima Cas13 per inibire in modo programmabile i virus a RNA. A differenza dell’enzima Cas9, che è l’ingrediente base della versione standard di CRISPR, la Cas13 prende di mira l’RNA e non il DNA. SARS-CoV-2 è ancora una minaccia sconosciuta, perciò il paper si concentra su altri patogeni umani e animali (tra cui influenza A e stomatite vescicolare).
Un altro passo avanti arriva il 14 marzo sotto forma di un preprint su bioRxiv, che poi approderà su Cell. La strategia messa a punto da Stanley Qi si chiama come un vecchio videogame: PAC-MAN (l’acronimo sta per Prophylactic Antiviral CRISPR in huMAN cells - CRISPR profilattica antivirale in cellule umane), e ne avevamo scritto anche QUI . Il laboratorio di Stanford stava lavorando a quest’arma contro i virus influenzali, ma ha fatto in tempo a includere nei suoi esperimenti il patogeno responsabile di COVID-19. Anche in questo caso si punta sulla Cas13, scegliendo come bersagli alcune porzioni genomiche particolarmente conservate nella famiglia dei coronavirus e in quella dell’influenza A. Il sistema viene testato in vitro, usando le sequenze di SARS-CoV-2 perché i ricercatori non hanno a disposizione le particelle virali intere. Ma la conclusione è che basta un set di sei molecole guida per sgominare il 91% dei coronavirus noti. Per costruire un’arma pan-coronavirus, serve un armamentario di 22 molecole guida. Doudna resta colpita dal preprint e invita Qi a entrare nella task-force con base a Berkeley.
L’approccio sembra funzionare bene in vitro, dunque, ma funzionerà anche in vivo nei polmoni degli organismi viventi? La riposta arriva nel febbraio del 2021 su Nature Biotechnology, con un lavoro del gruppo di Philip Santangelo, che fa capo al Georgia Institute of Technology e alla Emory University di Atlanta. I ricercatori hanno messo alla prova la strategia su topi e criceti, rispettivamente per influenza A e COVID-19, e per la somministrazione in vivo si sono affidati a un nebulizzatore. Anziché fornire direttamente la Cas13 in forma proteica, hanno fatto inalare agli animali l’RNA messaggero (ovvero le istruzioni molecolari per sintetizzare la proteina), insieme agli RNA guida per identificare i bersagli da tagliare. Il direttore dei National Institutes of Health degli Stati Uniti, Francis Collins, ne ha scritto sul suo blog, notando che “è la stessa idea usata per i vaccini anti-COVID a base di RNA messi a punto da Pfizer e Moderna, che istruiscono temporaneamente i muscoli a produrre le proteine spike del virus stimolando una risposta immunitaria”. Nel caso del trattamento antivirale a base di CRISPR, sono le cellule dei polmoni che traducono l’RNA messaggero producendo la proteina Cas13. Quest’ultima si serve degli RNA guida, che sono stati forniti in contemporanea alle cellule, per riconoscere i target da colpire. Una volta identificati i bersagli, la proteina li degrada e così facendo combatte l’infezione. Somministrare il trascritto per l’enzima taglia-RNA, anziché il gene che lo codifica, presenta alcuni vantaggi: non entrando nel nucleo cellulare, il sistema non può causare cambiamenti indesiderati al genoma; essendo l’espressione passeggera, è più probabile che il trattamento sia ben tollerato.
Tempi e modi di somministrazione dovranno essere perfezionati prima di passare alla sperimentazione clinica. Intanto è una buona notizia che sia i topi con l’influenza che i criceti con COVID-19 abbiano beneficiato del trattamento, senza riportare effetti collaterali evidenti. Il fatto che CRISPR sia riuscita a rallentare o a fermare la replicazione virale induce a sperare che la strategia possa essere adattata per combattere altri virus respiratori, compresi eventuali coronavirus che in futuro potrebbero compiere il salto di specie arrivando a minacciare la popolazione umana.