Prof. Stanislao Rizzo

Terapia genica, cellule staminali e innovazione tecnologica sono le frecce all’arco degli esperti in campo oftalmologico contro le patologie dell’occhio. Le illustra il prof. Stanislao Rizzo (Roma)

Uno dei più celebri miracoli descritti nei Vangeli è quello con cui Gesù ha ridato la vista al cieco. Nella cultura del tempo una cosa del genere era l’equivalente dell’impossibile ma al giorno d’oggi, grazie ai progressi della ricerca nel campo delle terapie avanzate e delle nuove tecnologie ridare la vista a chi l’ha persa sta divenendo una possibilità concreta. “Finalmente, dopo tanti anni di buio, possiamo offrire ai nostri pazienti una luce”, afferma con soddisfazione il prof. Stanislao Rizzo, direttore dell’U.O.C. di Oculistica al Policlinico Universitario “A. Gemelli” di Roma. Di fatto, mai come adesso, queste parole potrebbero rivelarsi più azzeccate.

In oculistica il più grande avversario da sconfiggere sono le malattie ereditarie, sia quelle del segmento anteriore all’occhio che, soprattutto, quelle della retina e del nervo ottico. Le patologie eredo-familiari retiniche, come la retinite pigmentosa, colpiscono interi gruppi familiari e, nella stragrande maggioranza dei casi, conducono a cecità completa nel giro di pochi anni. “Fino a questo momento non disponevamo di alcuna terapia contro queste malattie”, spiega Rizzo. “Si passava dalle supplementazioni vitaminiche ai vari cocktail di farmaci somministrati spesso da terapeuti improvvisati nelle cui mani finivano pazienti, a volte, anche molto giovani. Fortunatamente le cose stanno cambiando e l’oculistica sta vivendo un’epoca straordinaria, nel segno di tre campi di ricerca: la terapia genica, le cellule staminali e le protesi retiniche”.

LA TERAPIA GENICA

Pochi giorni fa si è celebrata la Giornata della Vista che ha ricordato come la terapia genica contro le forme di distrofia ereditaria della retina provocate da mutazioni in entrambe le copie del gene RPE65 sia già disponibile in Italia. La Retinite Pigmentosa (RP) è, infatti, una delle più diffuse malattie ereditarie della retina e colpisce i fotorecettori e l’epitelio pigmentato portando alla cecità. “Da un punto di vista genetico è una patologia molto eterogenea ma, finalmente, per alcuni tipi di RP e per l’amaurosi congenita di Leber legata ad alterazione del gene RPE65 abbiamo a disposizione una terapia”, prosegue Rizzo. “Grazie alla terapia genica si realizza il sogno di indirizzare il decorso della malattia modificando le cellule che ne sono responsabili, poiché il cuore di questo nuovo campo di ricerca è dato dalla correzione dei geni alterati che scatenano la malattia stessa”. Differentemente dall’editing del genoma - il quale va ad agire direttamente sul DNA con tecniche come CRISPR, che proprio nei giorni scorsi è valso il Premio Nobel alle sue ideatrici - la terapia genica sfrutta i vettori virali attraverso cui si veicola l’informazione corretta al genoma. “L’arrivo di Luxturna in Italia è in corso di valutazione presso l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco)“, spiega l’esperto romano. “Nell’arco di qualche mese anche il nostro reparto potrebbe iniziare la somministrazione nei pazienti. Al momento in Italia sono oltre 50 i pazienti colpiti da distrofie ereditarie della retina che potrebbero beneficiare di questa nuova terapia ma potrebbero diventare anche di più nel prossimo futuro.” Anche perché questo affascinante settore di ricerca non investe solo l’oculistica, ma tutte le patologie ereditarie.

LE CELLULE STAMINALI

Il secondo campo di ricerca assai diffuso, e ormai noto a tutti, è quello delle cellule staminali che possono essere sfruttate in due modi. Il primo consiste nell’introduzione di cellule che secernono fattori di neuroprotezione, in grado di stimolare la sopravvivenza e il tropismo delle cellule sofferenti. “Questa tecnica si usa per il trattamento sia della retinite pigmentosa che della maculopatia senile, un’alterazione del tessuto maculare che sfocia in una forma di cecità legata all’età”, precisa ancora Rizzo. “Essa consta nell’introduzione all’intento della camera vitrea, nello spazio sotto la retina e sopra la coroide, delle cellule che secernono i fattori neurotrofici, protettivi o adiuvanti la crescita, in grado di produrre sostanze che proteggano le cellule malate”. Il secondo modo consiste, invece, nella sostituzione delle cellule malate, prelevando dal midollo osseo o dai tessuti del paziente stesso le cellule da trapiantare. “In questo caso i fibroblasti della cute vengono convertiti in cellule dell’epitelio pigmentato retinico che nelle maculopatie vanno incontro ad atrofia”, aggiunge Rizzo. “In entrambi i casi ci troviamo ancora a un livello sperimentale, non vi sono applicazioni cliniche approvate ma sono più di 100 i trial clinici attivi e molti gruppi di ricerca nel mondo stanno lavorando perché questa tecnica diventi presto una realtà clinica.” I campi di applicazione sono tantissimi e, oltre la maculopatia degenerativa e le malattie eredo-familiari comprendono anche il glaucoma. Oltre al filone delle cellule staminali autologhe - ovvero quelle prelevate dal paziente stesso - molte aziende stanno seguendo la strada della produzione di linee cellulari impiegabili su ogni paziente. È la filosofia adottata da Holostem, l’azienda italiana che ha sviluppato una “lente a contatto a base di cellule staminali” prodotta proprio in linee cellulari per il trattamento delle ustioni alla cornea.

LE PROTESI RETINICHE

Se l’utilizzo delle cellule staminali in oculistica è ancora in fase di approfondimento, la tecnologia innovativa al servizio della visione è già una realtà terapeutica. Le protesi retiniche sono, infatti, un concentrato di alta tecnologia destinato ai pazienti con un avanzato stadio di malattia, nel quale la visione risulta definitivamente compromessa. “L’esperienza della protesi artificiale Argus ha prodotto risultati funzionali molto buoni tanto che, negli ultimi anni, esse sono state testate su circa una quarantina di pazienti, completamente ciechi”, spiega Stanislao Rizzo. Purtroppo, la pandemia COVID-19 ha assestato un duro colpo alla compagnia produttrice che ha dovuto cessare l’attività per problemi finanziari, sospendendo il programma Argus II. “Ma noi non ci siamo fermati e nel giro di breve tempo al Policlinico Universitario Gemelli inizieremo una nuova sperimentazione con il sistema israeliano Nanoretina che si compone di circa 400 elettrodi, molti più dei 60 di Argus, e dovrebbe così assicurare una miglior definizione in termini di nitidezza della visione”, conclude Rizzo. “Inoltre, stiamo monitorando i risultati ottenuti da una protesi sovracoroidale (Nanoretina invece usa una protesi retinica, n.d.r.) che il gruppo australiano Bionic Vision sta per testare su una quindicina di pazienti. È fondamentale confrontare i diversi approcci al fine di scoprire quale dia un risultato funzionale e visivo migliore”. Può sembrare che i meccanismi di garanzia attivi in Italia - e in tutti gli altri Paesi - richiedano tempi di valutazione lunghi ma quando c’è in gioco la sicurezza dei pazienti occorre essere certi che ogni dispositivo (e ogni farmaco) sia assolutamente sicuro. C’è un motto molto in voga che si adatta splendidamente al campo dell’oculistica moderna e dice che “il possibile lo stiamo facendo, l’impossibile cercheremo di farlo, per i miracoli ci stiamo attrezzando”.

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