Lo scoop è ancora una volta merito di Antonio Regalado, che qualche anno fa è diventato famoso per aver rivelato al mondo gli esperimenti cinesi che hanno portato la nascita delle prime bambine con il DNA geneticamente modificato. Questa volta il giornalista della MIT Technology Review ha messo le mani sugli incartamenti che stanno decidendo l’esito della disputa europea sullo sfruttamento commerciale della tecnologia più usata per l’editing genomico. Parliamo del modello standard di CRISPR che impiega l’enzima Cas9 per recidere la doppia elica del DNA nel punto prescelto dai ricercatori, lo stesso che nel 2020 ha portato Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna a Stoccolma per ricevere il Premio Nobel per la chimica.
L’emofilia A e B sono difetti della coagulazione, che provocano sanguinamenti spontanei in diverse sedi del corpo, la cui causa risiede in una mutazione che si trasmette da una generazione all’altra e provoca la riduzione o l’assenza di un fattore di coagulazione. A seconda del tipo di errore sul DNA, gli effetti sull’organismo possono essere più o meno gravi e richiedere uno specifico approccio terapeutico. Pur essendoci stati dei progressi a livello farmacologico, nei casi più seri il rischio emorragico resta e il trattamento continuativo è necessario, specialmente nel caso di sanguinamenti acuti o interventi chirurgici. La terapia genica rappresenta quindi una possibile soluzione a lungo termine, essendo in grado di indurre la produzione del fattore mancante anche per anni dopo la somministrazione. Ma quante e quali sono le terapie geniche per l’emofilia autorizzate o in fase avanzata di sperimentazione?
Il film The Island del 2005 racconta la drammatica storia di cloni umani creati per testare farmaci, sostituire organi e curare le malattie dei ricchi. Nella realtà, questo non sarebbe possibile per ovvie questioni etiche, ma l’idea di avere un “doppio biologico” su cui sperimentare terapie non appartiene solo alla fantascienza. I ricercatori dell’Istituto Candiolo IRCCS di Torino hanno realizzato una nuova biobanca di modelli tumorali, chiamata XENTURION. È la più grande al mondo, composta da 128 mini-tumori metastatici del colon-retto, ottenuti da campioni di tessuto di pazienti oncologici. Questi tumori “avatar” replicano il profilo molecolare del tumore originale e simulano la sua risposta ai farmaci, migliorando l'efficacia dei trattamenti personalizzati. Lo studio, a firma italiana, è stato pubblicato a fine agosto su Nature Communications.
Mentre in Europa e in Italia medici e ricercatori sono occupati nella messa a punto di terapie a base di cellule CAR-T contro le malattie autoimmuni e i tumori solidi, dall’altra parte del mondo - e precisamente in Australia - sta per prendere il via uno studio clinico che potrebbe imprimere una direzione ancora nuova allo sviluppo di queste terapie avanzate. Entro l’inverno è, infatti, previsto l’inizio di una sperimentazione basata sulla prima CAR-T in vivo destinata al trattamento delle neoplasie maligne a cellule B. Gli occhi di tutti sono dunque puntati su Interius BioTherapeutics, azienda biotech che sta promuovendo il trial, perché se i confortanti risultati ottenuti nella fase pre-clinica dovessero essere confermati su una casistica di persone, si aprirebbe un capitolo inedito che molti ambiscono a scrivere.
a cura di Anna Meldolesi
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